Stanotte guardiamo le stelle – A. Ehsani

Mai come oggi la questione dell’immigrazione fa parlare di sé in ogni canale di comunicazione, a scuola se ne parla di continuo, i politici ne discutono nei vari talk show e ogni tanto capita un servizio al telegiornale con movimenti di protesta, spaccando in due la popolazione, ancora una volta due poli estremi. In mezzo a tanta confusione spiccano accuse verso chi lucra a spese di altri e storie struggenti, come quella che vi propongo in questo articolo: Stanotte Guardiamo le Stelle di Alì Ehsani.

Ci troviamo in Afghanistan negli anni novanta e Alì è un bambino come tanti, che vive in una Kabul devastata dalla guerra, ma non ancora sotto il regime dei talebani. Passa le giornate a giocare con il suo amico Ahmed e le cose più spaventose che conosce sono i rimproveri del maestro o della madre.

Un giorno tornando da scuola, trova al posto di casa propria un mucchio di macerie e si siede sul muretto ad aspettare che qualcuno lo venga a prendere, convinto di aver sbagliato strada. Lo raggiunge il fratello maggiore Mohammed che gli spiega che i genitori sono morti uccisi da un razzo, che non hanno più niente in quel Paese e se ne devono andare.

Inizia un lungo viaggio durato ben 5 anni per poter raggiungere la tanto desiderata Europa, che altro non è che l’Italia, luogo dove ripongono le proprie speranze.

Una storia vera che consiglio a tutti di leggere, perché ti fa riflettere. Dedicato a chi se vede qualcuno sporco o trasandato, ha un po’ di pregiudizio, per chi dice che sono tutti criminali, che rovinano il nostro Paese, che li sprofonderebbe in mare… Dedicato a tutti coloro che odiano senza conoscere, ma anche ai finti “perbuonisti” che parlano di aiuti, ma la loro disorganizzazione e sete di soldi vanno a discapito di chi non centra niente.

In un sistema dove la parola d’ordine è “accogliamo e poi si vedrà” chi ne fa le spese sono spesso gli immigrati che da una parte si ritrovano atteggiamenti razzisti e dall’altra promesse non mantenute, fungendo da capro espiatorio.

In mezzo a questi magari ci sono anche criminali, ma ci vanno di mezzo tutti.

Nel libro sappiamo già come va a finire, Ali ci arriva da solo a Roma, attraverso un viaggio tragico, nel quale ciò che dà forza di proseguire non è la disperazione, come dice lui, ma la speranza, quella di avere una dignità come persona, poter decidere come costruirsi un futuro e non accontentarsi di sopravvivere.

Grazie a questo romanzo ho potuto riflettere su degli atteggiamenti negativi che spesso adottiamo, etichettando la gente senza conoscere il suo passato: dietro a quei vestiti sporchi c’è povertà, dietro a quegli occhi lucidi una richiesta di aiuto. Dire che tutti gli immigrati sono criminali è come dire che tutti gli italiani sono imbroglioni; allo stesso modo sarebbe assurdo dire che sono tutte brave persone bisognose. Lo stesso Alì racconta di chi, preso dal desiderio di fuggire, era dedito a rubare persino ai propri compaesani.

Nonostante sia grato a tutti coloro che in un modo o in un altro gli hanno regalato un tassello verso la meta, con gran lucidità descrive anche il paradosso di un sistema creato per aiutare i rifugiati di guerra, che invece si rivela una facciata da esibire ai giornalisti curiosi.

ALLERTA SPOILER!! La parte più tragica rimane senz’altro la morte del fratello, straziante, un incubo che sicuramente hanno vissuto altri prima di lui, partiti con sorriso e gioia perché sicuri di raggiungere l’altra sponda della vita, quella dove risiedono speranza e un futuro migliore, invece ci si è persi per strada. Nessuno si metterebbe su un gommone da 50 dollari, per affrontare un viaggio in mare aperto senza saper nuotare, al buio… Già da questo si dovrebbe capire il coraggio e la determinazione che spinge queste persone a gesti estremi che, spesso, costano la vita. Più che un romanzo, una lezione di vita direi…

Ovviamente, voto 5 su 5.

“<<[…]Ascolta quello che la gente dice. Poi magari parli tu. Ma pensa prima a quello che devi dire. Non comportarti da stupido.>> <<Perché?>> <<Perché è pieno di persone che credono di sapere tutto e proprio per questo non imparano mai niente.>>” Stanotte Guardiamo le Stelle, A. Ehsani

La principessa indiana – I. Sundaresan

Ciò che apprezzo nei romanzi storici, se fatti bene, è la capacità degli autori di riportare eventi realmente accaduti con una propria interpretazione, permettendoci di entrare nella vita di personaggi che hanno fatto la differenza, conoscendoli come fossimo presenti anche noi in quel tempo. Fra questi c’è il titolo di cui vi parlo ora, ovvero La Principessa Indiana di Indu Sundaresan.

Ci troviamo nell’India del 1631, quando l’imperatore Shah Jahan, rimasto vedovo dopo la morte dell’amatissima moglie, decide di costruire in memoria di lei un mausoleo che verrà annoverato fra le meraviglie del mondo: il Taj Mahal. Fra i suoi numerosi figli, spicca senz’altro la personalità della sua primogenita Jahanara, donna tanto bella quanto intelligente, che tenta di salvare le sorti del regno a fianco di un padre che a poco a poco si lascia andare al dolore per la perdita della donna della sua vita, contro i fratelli che lottano tra loro per ottenere l’eredità. Al tempo stesso cerca di celare al mondo la sua passione per un uomo inadatto al suo rango, pur di restare fedele al suo ruolo. Come ho accennato prima, fra le cose che più mi sono piaciute del romanzo, è il fatto che si percepisce nel corso della lettura, il lavoro di ricerca storica svolto dall’autrice, per altro riportato da lei stessa nella parte finale attraverso la bibliografia. Dove ci sono stati dei “buchi” informativi nella documentazione, sono stati sapientemente riempiti in maniera romanzata. Ne esce una storia che parla sì della costruzione di uno dei monumenti più spettacolari del mondo, descrivendone sia la costruzione, sia i materiali che la compongono e la loro disposizione, ma anche la vita e la crescita di una principessa in gamba, la cui saggezza ha preservato fino all’ultimo le sorti del regno, nonostante il suo pensiero fosse occupato anche dal dolore di non poter vivere serenamente la sua storia d’amore e nonostante in quel tempo, come ben sappiamo, la donna non contasse gran che. Per me è un 5 su 5.

ATTENZIONE, SPOILER IN QUESTO PARAGRAFO!!!! Quando il libro inizia vediamo la madre di Jahanara che muore di parto e lascia la gestione del palazzo alla figlia maggiore e termina quando la donna, rassegnata ormai all’inevitabile vittoria del fratello minore Aurangzeb e morte del padre, accetta di far parte del nuovo regno. Come spiega l’autrice, non si è mai capito per quale motivo Aurangzeb cercasse tanto l’approvazione della sorella, probabilmente perché è l’unica che mantiene una certa dignità fino all’ultimo. Tuttavia, ho notato che fra tutti i personaggi, quella che davvero sembra la sola dotata di saggezza sembra proprio la protagonista, soprattutto se contrapposta alla figura d’ombra della sorella Roshanara che dimostra un’indole subdola e sciocca, che tenta in ogni maniera di imitarla ma senza riuscirci. Per non parlare dei fratelli che si contendono il trono: l’unico che alla fine usurpa il potere con lo stesso modus operandi dei suoi antenati, viene visto come il “terribile”, quando invece a me sembrava semplicemente un principe che si è sentito messo da parte e per questo ha cercato in tutti i modi di dimostrare quanto fosse più valoroso dei suoi fratelli maggiori, facendo persino degenerare la situazione. Quello che cerco di dire è che, in tutta questa faida familiare, mi sembra un po’ forzato il fatto che l’unico personaggio a 360° sia solo quello di Jahanara, mentre gli altri diventano stereotipi di contorno. Probabilmente questo è un limite, purtroppo, presente in romanzi storici che, per mancanza di fonti, non può approfondire ogni singolo carattere senza scadere troppo nella fantasia. Peccato…

Grazie per aver letto l’articolo, vi auguro una buona lettura del libro 🙂

“Nessuna donna si affaccerà al jharoka fintanto che Bapa è imperatore. Credi che gli amir rispettassero Nur Jahan per le sue azioni? Ridevano di lei. Il posto per una donna, il nostro posto Roshan, è dietro il velo, dietro le mura dello zenana, e se vuoi fare qualcosa, qualsiasi cosa, devi farla da qui, in questo spazio.” La Principessa Indiana, I. Sundaresan

Polissena del Porcello – B. Pitzorno

Fra gli autori che più ho apprezzato nella mia esperienza di lettrice, c’è la celebre Bianca Pitzorno, conosciutissima per i libri per bambini pubblicati che hanno ottenuto grande successo. Uno di questi ve lo espongo in questo articolo, una lettura adatta a partire dai 10 anni, ma vi posso assicurare che la bellezza del racconto non annoia nemmeno i più grandi. Si intitola Polissena del Porcello.

Polissena ha 11 anni e vive felice con la sua famiglia, fino a quando non scopre per caso di essere stata adottata e che era solo una trovatella in fasce abbandonata insieme a diversi oggetti che possono aiutarla a scoprire le sue origini. Sconvolta, fugge di casa e si unisce alla Compagnia di Animali Acrobatici di Lucrezia, piccola acrobata stracciona, che la aiuterà nella sua ricerca. Una storia divertente e avvincente che ci porta a girare in lungo e in largo con personaggi comici, assurdi, stravaganti che aiutano Polissena a costruire pezzo per pezzo il suo passato. Con questo libro farete un viaggio inaspettato attraverso luoghi di ogni genere, dalla famiglia povera della terribile matrigna, al castello della piccola principessa che non si sa vestire da sola, il tutto condito con sana ironia per un divertimento assicurato. Il linguaggio semplice non fa scadere la storia nella banalità, trattando temi anche piuttosto importanti e profondi, sempre attraverso gli occhi di una bambina che si sente persa, ma pur sempre determinata a scoprire chi è davvero. Alla fine non solo Polissena cresce e matura, ma anche i personaggi che ne fanno da contorno come l’amica Lucrezia. Consigliatissimo, con punteggio massimo.

“Di giorno Polissena lasciava il suo scrigno nel canestro di vimini sul carretto. ma ogni notte, prima di addormentarsi, lo andava a prendere, lo apriva e considerava pensierosa gli oggetti che c’erano dentro. Sarebbe mai riuscita, grazie a loro, a scoprire chi erano i suoi veri genitori?” Polissena del Porcello, B. Pitzorno

La cattedrale del mare – I. Falcones

In questo articolo parlo di un libro storico che ha fatto molto successo, tanto che su Netflix gli è stata dedicata una serie tv che, confesso, sono curiosa di vedere, più che altro per come sono state interpretate le vicende e i personaggi. Inizialmente acquistato come regalo per uno zio professore in pensione, sono rimasta affascinata dal titolo e dalla copertina scura che non fa trasparire quasi nulla della storia: La Cattedrale del Mare di Ildefondo Falcones.

Le vicende sono ambientate nella Barcellona del XIV secolo, dove Arnau e suo padre si rifugiano per poter sfuggire dalle grinfie del crudele padrone delle loro terre di coltivazione. Mentre Bernat lavora nella bottega del cognato, il figlio gironzola per la città rimanendo catturato dal fascino della cattedrale Santa Maria del Mar in costruzione. All’ombra di quelle torri gotiche, si snoderanno tutte le vicende della vita di Arnau, tra tormenti, passioni, lotte per la fame e la giustizia e per difendere un amore che dovrà sopravvivere contro i pregiudizi del tempo. Quando ho letto questo libro, devo dire sinceramente che mi sono annoiata parecchio nelle prime 140 pagine ed ero sul punto di metterlo da parte. Ci sono momenti nei quali secondo me lo scrittore si dilunga troppo, oltre al fatto che alcune vicende appaiono surreali. Falcones stesso alla fine spiega a quali eventi storici si sia ispirato, sui quali poi ha costruito particolari fittizi. Ritmo a parte, la narrazione a tratti scorrevole, è comunque semplice e per certi versi coinvolgente. Il protagonista, più che l’essere l’amore proibito, è Arnau con tutto il suo percorso di crescita e maturazione; oltre che l’influenza che esercita su di lui la Cattedrale dal quale nasce il titolo, che permette al ragazzo di legarsi alla religione a tal punto da trarre forza nella benevolenza nella statua della Madonna in essa contenuta. I personaggi che vanno e vengono nel romanzo, non spariscono mai del tutto (cosa molto apprezzata), ma in qualche modo si concatenano gli uni agli altri per influenzare gli eventi che coinvolgono Arnau stesso. Per me è un 3 su 5, consigliato per chi è appassionato del genere.

ATTENZIONE SPOILER IN QUESTO PARAGRAFO!!!! Dunque, ho detto che le prime 140 pagine mi hanno annoiata, ma non sono l’unica cosa che non mi è piaciuta. Nel riassunto sul retro del libro si parla di un amore che va oltre le convenzioni sociali del tempo, ma questo compare ben oltre la metà del libro, quasi verso la fine, dove la figlia dell’amico bastaixos ormai cresciuta mostra interesse nei suoi confronti. Perché descriverla come una parte fondamentale della storia, quando in realtà se ne parla solo nella sezione finale? Ma questo è un appunto da precisina, forse anche esagerato, però sinceramente quando ho letto il libro mi sono chiesta per un bel pezzo quale fosse questo grande amore citato, tanto che pensavo fosse quello nei confronti di Aledis. Un’altra questione è l’apprensione di Francesca che fin da quando è nato, ha trattato il figlio con freddezza in quanto frutto di violenze che certamente voleva dimenticare. All’inizio della storia Arnau addirittura stava per morire di stenti per causa sua, se non l’avesse rapito il padre salvandolo. Quindi per lei poteva pure essere morto e, invece, alla fine, quando ormai è una matrona anziana dice che l’ha affidato a Bernat che sicuramente poteva dargli un futuro migliore (ah quindi aveva previsto che abbandonandolo sarebbe venuto a prenderselo!?) e ora ha tutto sto amor proprio da rinunciare a rivelare la sua identità. Questa cosa l’ho trovata assurda e incoerente. Questi sono i motivi per i quali ho abbassato la mia valutazione…

Vi ringrazio per aver letto l’articolo, vi auguro una buona lettura del libro 🙂

“Da quando era fuggito con Arnau, non aveva smesso un attimo di pensare a quella città, la grande speranza di tutti i servi della gleba. Ne aveva sentito parlare quando andavano a lavorare la terra del signore, a riparare le mura del castello o a fare qualsiasi altro lavoro di cui il signore di Bellera avesse bisogno.” La Cattedrale del Mare, I. Falcones