La sorella perduta – D. Jefferies

Dopo qualche libro impegnativo, leggere qualcosa che abbia poche pretese, penso che sia la cosa migliore. Perciò non potevo fare altro che tornare dalle mie amatissime storie sul tè in tutte le salse! Questa volta ho preso un volume che stuzzicava un po’ la curiosità a giudicare dal titolo: La Sorella Perduta di Dinah Jefferies, la stessa autrice de Il Profumo delle foglie tè. Non lo sapevo, ma a quanto pare ne ha scritti almeno 7 appartenenti allo stesso ciclo letterario.

Comunque, passiamo alla trama. Siamo negli anni ’30 del secolo scorso, Belle Hatton è una giovanissima cantante che si trasferisce in Birmania dopo aver accettato di lavorare nel lussuoso hotel Strand. La meta non è stata scelta a caso: difatti, appena dopo la morte del padre, ha scoperto che venticinque anni prima i genitori erano fuggiti proprio da Rangoon, dopo aver perso la loro bambina Elvira. Belle desidera scoprire cosa sia successo realmente alla sorella che non sapeva di avere, ma quando inizia a fare domande, la vicenda sembra avvolta nel mistero. In tutto ciò conosce Oliver, un giornalista americano, che decide di aiutarla. Ma qualcuno la avverte di non fidarsi di lui…

Devo ammettere che le promesse le ho trovate accattivanti: il mistero che avvolge la scomparsa di una neonata di tre settimane e la gente del posto che sembra abbia paura a parlarne. Nel romanzo si alterna il narratore in prima persona di Diana Hatton, la madre della protagonista, e la storia principale di Belle. Il ritmo è scorrevole anche se si arresta in alcuni punti, ma dura poco. Tutto sommato non è stato così terribile, anche se ho trovato un enorme scivolone da parte dell’autrice che mi ha fatto storcere parecchio il naso. Il finale è scontato e prevedibile. Voto 3/5

ATTENZIONE SPOILER!! Ad un certo punto della storia si apprende che Diana ha sofferto di una forte depressione, risalente alla gravidanza della prima figlia, quando viene a scoprire del tradimento del marito. Da lì c’è stata una lenta discesa verso il baratro che l’ha portata ad un allontanamento coatto da casa sua, facendo perdere ogni sua traccia. Già qua mi dà i nervi, tuttavia bisogna contestualizzare la vicenda al periodo storico di cui si parla. Già è tanto che non l’abbiano rinchiusa in un manicomio, ma il marito che la “ama tanto”, vedendo la sua salute mentale tanto instabile, per altro iniziata per colpa sua, prima ci fa un’altra figlia e poi le dice “Senti bella fuori dai piedi che non ti sopporto più…ah, devo proteggere la nostra bambina.” Peccato che quando poi questa porella migliora, decide comunque di tenerla a debita distanza. Ma che marito amorevole! Da qui mi aggancio ad un altro punto: la protagonista schifa con orrore le amiche di Gloria in quanto le considera bigotte dal pensiero medioevale, dopo che le fanno pesare che è in età da marito e figli. E okay, non fosse che ad un certo punto viene espresso questo pensiero riguardo alla madre: “Né riusciva a capire perché non fosse bastata la sua nascita a ristabilire un equilibrio, o se non altro ad attenuare almeno in parte il dolore causato dalla perdita di Elvira.” E questo non sarebbe un pensiero ignorante? Quindi secondo la protagonista, la madre figliando avrebbe dovuto risolvere la sua depressione, riportare un certo equilibrio in casa e sostituire il dolore con l’amore per la nuova figlia. Ma che razza di pensiero è? Se una ha gravi disturbi psicologici (Diana aveva persino delle allucinazioni uditive!!) non risolve niente mettendo al mondo figli, anzi, potrebbe persino peggiorare, cosa di fatto successa. Poi, da quando i figli si sostituiscono fra loro? Una madre con 2 figli dovrebbe soffrire di meno per la perdita di uno rispetto ad un’altra con un figlio solo, perché avrebbe il piano B? Senza parole…

Grazie per aver letto l’articolo,

Julia Volta

“Che il mondo potesse racchiudere una tale straordinaria bellezza, e al contempo così tanta violenza, le risultava incomprensibile, ma sapeva che avrebbe dovuto trovare un modo per capire e accettare quei due estremi.” La sorella perduta, D. Jefferies

Acido solforico – A. Nothomb

E’ da un po’ che avevo in programma di recensire questo libro, ma fra una cosa e l’altra non sono riuscita a dedicare del tempo al mio blog. Negli ultimi anni, nella sezione dei libri fantascientifici ambientati in futuri distopici, troviamo dei celebri titoli che parlano di reality show cruenti, dove gli spettatori si divertono a vedere persone brutalmente uccise o torturate in arene giganti. C’è un titolo che lessi più di 10 anni fa, quando ancora non si parlava di Hunger Games, che mi ha colpita parecchio: Acido Solforico di Amélie Nothomb.

Rispetto agli altri dello stesso genere, non è famosissimo, ma per la satira tagliente presente nella storia, vale la pena di leggerlo. Ci troviamo in un periodo storico imprecisato, dove la gente impazzisce per un reality show dal nome controverso: Concentramento, proprio in ricordo della Shoah avvenuta durante la Seconda Guerra mondiale. Per le strade di Parigi, una troupe televisiva carica su camion piombati diversi concorrenti, che vengono poi deportati nel campo dove altri interpretano il ruolo di kapò. La vita di tutti si svolge sotto l’occhio vigile delle telecamere e il momento di massima audience arriva quando i telespettatori decidono l’eliminazione-esecuzione dallo show di un concorrente attraverso il televoto.

Il romanzo che consta di sole 136 pagine (quindi godibile in un pomeriggio), accosta un’aspra critica sociale ad una forma di scrittura scarna e schietta. La situazione è ridotta ad un estremo, ma ciò che vuole fare l’autrice è proprio colpire, spingere a riflettere su quanto ci sia di disgustoso nel mondo dei mass media, dove le sofferenze delle persone vengono strumentalizzate più per diletto che per protesta sociale. Pensate che sia qualcosa di esagerato? Io non credo. Quanti video esistono su YouTube, senza perdersi nell’antro del terribile Deep Web, dove alcune clip diventano virtuali nel momento in cui qualcuno dall’altra parte viene filmato mentre vive situazioni angoscianti: dalla gente picchiata, ad animali torturati. Non tutti quelli che guardano lo fanno per godere delle sofferenze altrui, ma c’è anche la curiosità a spingerle. Sarebbe giusto uguale? Che sia per semplice curiosità, o per appagamento di desideri psicotici, non si fa altro che dar credito a questo sistema malato. Dopotutto, sono le views che interessano, l’audience di un programma…a chi importa la ragione per la quale ti sei collegato a quel canale?

Per non parlare poi del fatto che quando si vede una scena shoccante, la prima cosa che viene in mente è quella di tirare fuori il cellulare e fare un filmato. C’è un tizio che si sta gettando sotto il treno? Facciamo un video. Un povero cagnolino viene torturato? Facciamo un video. Una donna viene violentata? Facciamo un video. Sembra che la gente sia convinta di vivere dentro al mondo di Truman: tutto ciò che accade non è reale, ma ciò che è importante è ottenere audience, la fama. Peccato che appena Truman ha scoperto di essere un oggetto di culto se n’è fregato della gente disagiata che lo venerava e ha deciso di vivere una vita più umana.

Pensate ancora che Concentramento sia tanto lontano dalla nostra realtà? Io no…

Grazie per aver letto l’articolo 🙂

Julia Volta

“Non si diventa innocenti per il semplice fatto di lavarsi le mani di una situazione.” Acido Solforico, A. Nothomb