Grandi classici: Mattia Pascal

È giunto il momento di presentare un altro caposaldo della letteratura, italiana questa volta, che avrei dovuto leggere alle superiori su caldo invito della mia insegnante di lettere. Da adolescente non mi attirava per niente: trovavo interessante la trama, ma leggendo un brano dal libro di testo, avevo cambiato subito idea. Eccomi qui dopo 10 anni almeno, a presentarvi Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello.

Bisogna ringraziare la Feltrinelli che con le sue offerte mi ha permesso di recuperare, acquistando i grandi classici lasciati indietro nel corso della mia breve vita. No, non è vero. Mi vergognavo a morte per il mio scarso bagaglio culturale nei confronti della letteratura, quindi sto avidamente recuperando :”)

La storia la sappiamo tutti. Mattia Pascal è un giovane scapestrato che vive con una moglie che lo detesta e una suocera che lo tormenta mattino e sera. Non che sia un santo, eh! Anzi, non è manco sta cima di intelligenza. Ma ha un gran cuore e come meglio può, cerca sempre di rendersi utile. Ma giusto per citare un comico “come si muove, pesta una cacca!”. La svolta più miracolosa avviene quando viene rinvenuto un cadavere, vittima di suicidio, e attribuiscono a lui la sua identità. Mattia risulta morto e apparentemente libero. Inizia così la sua avventura per costruire la sua nuova identità.

Un romanzo dall’ironia pungente, che sicuramente strappa un sorriso, ma spinge anche riflettere. Il povero Mattia è la macchietta di se stesso: la vita sembra porgergli la carota e una bastonata in continuazione. Quando pensi che finalmente abbia una possibilità di ricominciare da capo, sotto falso nome, scopri che ciò non gli è possibile perché di fatto Adriano Meis non esiste. È frutto del desiderio dello stesso Mattia, che si sente meglio nel vestire i panni di un uomo così dabbene, senza strabismo e sciatteria, ma anche il sogno di una povera Adriana che forse si aspettava un cavaliere valoroso, magari in groppa a un nobile destriero, in grado di salvarla dalle angherie di un parente poco raccomandabile. Ma il sig. Pascal ci è già passato: se una cosa non va bene, meglio troncarla. Così muore due volte, per ritornare nel suo paese di origine e scrivere la sua storia sotto forma di leggenda: l’uomo che morì tre volte, ma forse non ha vissuto mezza vita.

Ciò che mi piace nella narrazione di Pirandello, è che i suoi protagonisti sembrano rompere le barriere convenzionali e danno l’impressione di uscire fuori dalle pagine stesse. I suoi libri, con vicende uniche piene di domande esistenziali, sembrano donare maggior vita ai personaggi che li compongono, come se se la prendessero con lo stesso autore che li ha creati. Insomma, uno scrittore assolutamente da inserire nella propria libreria.

Voto 5/5.

“Di quante cose sostanziali, minutissime, inimmaginabili ha bisogno la nostra invenzione per ridiventare quella stessa realtà da cui fu tratta, di quante fila che la riallaccino nel complicatissimo intrico della vita, fila che noi abbiamo recise per farla diventare una cosa a sé!” Il fu Mattia Pascal, L. Pirandello

Il negozio di Blossom Street – D. Macomber

Nei gruppi di lettura ultimamente si è scatenato un acceso dibattito per quanto riguarda le cosiddette “letture leggere“. Per alcuni si tratta di libri con storie scontante, pieni di cliché, trame trite e ritrite, la cui lettura comunque ci permette di passare un pomeriggio senza troppi cavigli per la testa. Per altri, è definibile come “leggero” un romanzo piacevole, intrigante, appassionante, possibilmente appartenente ad autori celebri e acclamati dalla letteratura. Per quanto mi riguarda, la mia opinione sta nel mezzo. Ho trovato leggeri alcuni autori classici, che mi hanno portata al finale fin troppo velocemente, così come ho letto bestseller prolissi e impegnativi.

Ma dopo tutta sta manfrina sulle letture leggere, vi introduco il libro di cui vi voglio parlare: il Negozio di Blossom Street di Debbie Macomber. La trama intreccia le vicende di quattro donne diversissime fra loro: Lydia, giovane sopravvissuta al cancro, che decide di aprire un negozio di filati e organizzare un corso base di maglia al quale partecipano le altre tre protagoniste; Alix, una ventenne ribelle in libertà vigilata, che si iscrive per impiegare le ore di servizio pubblico imposte dal giudice; Jacqueline, borghese di mezza età, sta per diventare nonna, ma non sopporta che il figlio si sia sposato con una campagnola; Carol, dolce giovane donna, ossessionata dal desiderio di avere un bambino che tarda ad arrivare.

Si tratta del primo di una serie di sei volumi appartenenti alla saga di Blossom Street, che ruota tutta intorno al negozio di filati di Lydia. Sono stata spinta alla lettura principalmente per una collaborazione con il negozio di gomitoli per cui lavoro, Filati Romance, e devo dire che sono rimasta piacevolmente sorpresa, perché tutto sommato mi ha tenuta incollata alle pagine fino alla fine senza troppi problemi. Sarà anche stato per la modalità di scrittura, che scorre veloce, non si perde in inutili descrizioni e risulta poco impegnativa. Alla fine del romanzo è anche presente una chicca che fa sicuramente piacere alle amanti del mestiere.

Per quanto riguarda gli aspetti negativi, non posso non parlare dei luoghi comuni che a volte compaiono, manco stessimo parlando dell’universo della Mulino Bianco: mariti perfetti, sempre comprensivi, donne dolcissime, anche nel profondo del cuore (l’unica che ce l’aveva col mondo intero, pare debba essere ricoverata), bambini bellissimi e amabili. Insomma, se avete bisogno di qualcosa che vi trasmetta positività, della serie “ogni cosa è possibile” anche in maniera del tutto surreale, allora è il libro giusto.

Voto 3/5

Julia Volta

“Dovevo cercare la mia felicità e smetterla di aspettare che lei trovasse me.” Il Negozio di Blossom Street, D. Macomber

E l’eco (del commerciale) rispose – K. Hosseini

La mia idea era quella di far uscire un articolo su un best seller a fine gennaio, ma altri impegni e la lettura stessa, hanno tardato i miei buoni propositi. Francamente con Hosseini pensavo di andare sul sicuro e, invece, mi sono ricreduta.

Terzo romanzo del celeberrimo Khaled Hosseini, la quarta pagina di copertina de E l’eco rispose ci fornisce le premesse per un romanzo destinato a donarci forti emozioni: un padre e i suoi due figli sono in viaggio verso Kabul, partendo dal loro piccolo villaggio povero Shadbagh. Sul loro carretto rosso Sabur, il padre, ha caricato Pari, la figlia di tre anni. Invano ha cercato di rimandare a casa il figlio Abdullah. Il ragazzino ha deciso che li accompagnerà a Kabul e niente potrà fargli cambiare idea: il legame tra i due fratelli è troppo forte. C’è qualcosa che lo turba per tutto il viaggio e, quando giungono a destinazione, un avvenimento cambia le loro vite per sempre.

Mi ricordo che diversi anni fa, pochi mesi dopo la sua uscita, avevo chiesto a mia zia cosa ne pensasse al riguardo. La sua risposta è stata una smorfia di disgusto prima di esprimere la sua delusione. Lì per lì ho sperato che fosse solo una sua impressione, forse un po’ esagerata, per questo ho deciso di comprare il romanzo appena trovato in offerta. Dopo Mille Splendidi Soli, che per altro ho già recensito, ero carica di aspettative. Ma quando sono arrivata all’ultima pagina, ho chiuso il manoscritto con un enorme “Bah…”. Per me le premesse c’erano tutte, ma lo sviluppo della storia è stato talmente tanto prolisso e intricato, da creare solo confusione. I primi capitoli, infatti, mi hanno tenuta incollata alle pagine con il fiato sospeso, poi però hanno iniziato a inserirsi personaggi di contorno con i loro punti di vista e storie personali. Ha fatto un giro talmente largo che quando sono arrivata al gran finale, ero così snervata dalla noia, che non mi ha suscitato nemmeno chissà che emozioni. Inoltre, i numerosi flashback che sopraggiungono uno dietro l’altro, non fanno altro che rendere ancora più confusionario il quadro generale della narrazione.

ATTENZIONE SPOILER!!!!! La mia delusione è data dal fatto che sembra abbia inserito degli episodi inutili giusto per aumentare il numero delle pagine. È stato come leggere parti di altri romanzi dentro ad uno solo: ad un certo punto parla lo zio Nabi in prima persona, dilungandosi fino alla noia. Mi immagino il dott. Varvaris che legge sta lettera infinita e si addormenta di tanto in tanto perdendosi in logorroici discorsi su come trascorrevano le giornate il signor Wadhati o Nabi stesso. Come se non bastasse si aggiunge la storia di Idris e Timur che leggi fino alla fine sperando di capirne il nesso e invece no: finisce solo con la migliore figura di cioccolata che abbia mai letto in un libro e poi personaggi spariti nel nulla. Ciliegina sulla torta, il lunghissimo excursus sulla vita del chirurgo Markos Varvaris, con una memoria peggio degli elefanti, dato che si ricorda dialoghi inutili risalenti alla sua infanzia avvenuta decenni prima, che comunque non porta a niente perché già sai che ha chiamato Pari per leggerle la lettera dello zio Nabi. Anche qui ti viene da dire “Embé?”. Mentre Markos racconta si inseriscono episodi a caso della sua vita dove non si sa dove sia stato e quando, ma ha conosciuto gente e ha visto cose che voi umani…Che poi sono anche storie interessanti, ma forse per altri libri, perché qui volevo sapere solo dei due fratelli, anzi tre se ci aggiungiamo il fratellastro Iqbal. Per assurdo di Abdullah non sappiamo quasi niente: solo informazioni generiche date dalla figlia. Ma almeno lui che si ricordava della sorella, non poteva fare un tentativo per cercarla? Lo zio è morto pure tardi! Per rendere il tutto più drammatico lo rivediamo solo alla fine, ormai in piena demenza senile, forse Alzheimer, che non riconosce più nemmeno la sorella. Poteva essere un finale struggente, ma l’intero libro non mi ha fatto affezionare abbastanza ai protagonisti: troppo occupata a capire il nesso logico per la presenza di tutte le altre storie. Come se scrivessi la biografia di, che so, Jane Austen e dedico centinaia di pagine alla vita del lattaio e del tizio che ha venduto i maiali al padre. Ma perché?

Voto 2/5

“Imparai che il mondo non vede la tua anima, non gliene importa un accidente delle speranze, dei sogni e dei dolori che si nascondono oltre la pelle e le ossa. Era così: semplice, assurdo e crudele.” E l’eco rispose, K. Hosseini