Il mio anno di riposo e oblio – O. Moshfegh

A parer mio, esistono dei libri che passerebbero inosservati, se non venissero presentati al pubblico con uno sconto imperdibile. Questo è il caso di Il mio anno di riposo e oblio di Ottessa Moshfegh, trovato in mezzo alla pila dell’Universale Economica Feltrinelli, insieme ad altri titoli mai sentiti.

Quando dopo tre mesi di dieta sali sulla bilancia e scopri di aver perso mezzo chilo

Mi ricordo che il giorno in cui l’ho comprato avevo una certa fretta nello scegliere, quindi ho dato un’occhiata veloce alle trame, prendendo ciò che più mi intrigava. Guardando la copertina, con quella fanciulla dall’aria frustrata, ho subito pensato ad un romanzo ambientato nella borghesia dell’800, in pieno stile Austen. Invece, rigirandolo per leggere la quarta, mi sono resa conto che mi sbagliavo, anche se la trama era comunque interessante:

della protagonista si sa tutto tranne il nome. È giovane, magra, bella, viziata, ricca, laureata da poco alla Columbia e residente in un appartamento nell’Upper East Side a New York. Sembra non le manchi niente, in realtà ha dentro un vuoto incolmabile, che pare non sia legato alla perdita prematura dei suoi genitori o a come la tratta il ragazzo che ama, Trevor. Si convince che per riprendere in mano la sua vita deve dormire sotto farmaci per un anno intero e per farlo le servirà la collaborazione della dottoressa Tuttle, la psichiatra peggiore che si sia mai vista.

La narrazione della storia è in prima persona, per cui vediamo il mondo attraverso l’occhio super cinico della protagonista, che odia così tanto la vita, da strapparmi il sorriso più di una volta. Le situazioni che si creano sono al limite dell’assurdo e sembrano quasi comiche se si pensa che a volte dà voce a pensieri che potremmo aver avuto tutti, ma non vogliamo ammetterlo: l’amica si preoccupa che stiamo dimagrendo, ma sotto sotto pensiamo che le dia fastidio. Oppure si lamenta dei suoi problemi, ma non sempre siamo ben disposte ad ascoltare.

Insomma, ci sono delle giornate no in cui vediamo tutto nero e siamo un po’ come lei. Ci dà fastidio tutto e non ci interessa dei problemi del mondo! Vorremmo solo risolvere i nostri!

È anche vero, che ben presto questo modo di fare ha iniziato a stancare pure me. Penso che Ottessa abbia volutamente reso antipatica la protagonista, portandoci sempre più a fondo nel suo baratro di disperazione. La soluzione che adotta è il culmine della sua idiozia, oltre che una situazione del tutto surreale. Non penso che sia possibile per un essere umano sopravvivere a lungo in quelle condizioni. Questa addirittura va avanti per mesi e se ne esce bella fresca come una rosa, come una bambina appena nata.

Senza contare che spesso la stessa narrazione sembra bloccarsi in noiosi elenchi di azioni/farmaci o turpiloqui inutili e, quando sembra che stia per succedere qualcosa, in realtà si torna al punto di partenza.

ALLARME SPOILER!

A parer mio, per quanto inizialmente mi abbia fatto sorridere in alcuni punti, non lo considero affatto un capolavoro. “Casualmente” negli USA ha fatto un enorme successo e sottolineo “casualmente” perché ho il sospetto che sia dovuto all’inserimento della questione dell’attentato alle Torri Gemelle. Mi domando, se non l’avesse inserito, avrebbe destato da parte loro lo stesso interesse? Inoltre, non ho capito dove l’autrice volesse andare a parare. Mi spiego, alla fine la protagonista rivede le immagini della caduta delle Torri. Fra le persone che si lanciano, le pare di riconoscere la sua migliore amica Reva e la colpisce perché si getta verso l’ignoto da sveglia, il contrario di ciò che ha fatto lei. Ciò la porta a riguardarsi la scena numerose volte. Allora, prima di tutto la trovo una cosa di cattivo gusto. Già io sto male solo a vedere una foto al riguardo (vd. The Falling Man) e non conoscevo nessuno. Che piacere perverso potrà mai ricevere nel vedere una conoscente, alla quale voleva bene, che si suicida? Altra questione, quelle persone non si gettavano affatto nell’ignoto. È stato un gesto disperato, ma sapevano che non sarebbero sopravvissuti. E trovo semplicemente assurdo paragonare un’azione del genere, alla volontà idiota di dormire per un anno perché “odio tutti e la vita fa schifo, quindi nascondo la testa sotto la sabbia, così i problemi si risolvono da soli.”

Voto 2/5

Julia

“Non so indicare un evento specifico che mi aveva portato alla decisione di andare in letargo. All’inizio volevo solo un po’ di calmanti per cancellare pensieri e giudizi perché con la loro raffica continua facevo fatica a non odiare tutti e tutto. Pensavo che la mia vita sarebbe stata più tollerabile se il mio cervello fosse stato più lento nel condannare il mondo che mi circondava.” Il mio anno di riposo e oblio, O. Moshfegh

Il Tiranno – V. M. Manfredi

Quando si sente la parola “tiranno” ciò che viene in mente è sicuramente una persona con una serie di caratteristiche negative, un cattivo per eccellenza. Ma perché è giunto a questo punto? Qual è la logica che sta dietro alle sue azioni?

Nel romanzo storico di Valerio Massimo Manfredi, intitolato per l’appunto Il Tiranno, si parla dell’ascesa e della rovina di Dionisio I di Siracusa, vissuto nel V secolo a.C. Nonostante le fonti storiche pervenute a volte risultino contradditorie e incomplete – per esempio, non si sa niente riguardo alla sua origine – l’autore ha saputo raccontare le vicende del personaggio con coerenza, inserendo molte informazioni riguardo alle strategie politiche, le guerre intraprese (a qui tempi di parla di guerre greco-puniche) e il contesto storico-culturale. Non per niente, stiamo parlando di uno degli archeologi italiani più famosi.

Devo ammettere che lo stile di Manfredi non mi è nuovo: da adolescente c’era stato assegnato Idi di Marzo, un compito che ho accolto con una certa riluttanza. A quei tempi la mia testa era occupata da fantasie romantiche che prevedevano amori impossibili e gesta eroiche; perciò, ritornare con i piedi per terra, per giunta leggendo qualcosa che avrei trovato anche sui libri di scuola, mi faceva rabbrividire!

E invece, mi sono dovuta ricredere! Ovviamente a quei tempi non ho dato la soddisfazione di aver apprezzato i romanzo, per altro assegnato da una prof che mi stava parecchio antipatica 😛

Poco tempo fa ho deciso di approcciarmi di nuovo a Manfredi; erano mesi che nelle librerie la sezione “romanzi storici” mi rivolgeva occhiate ammiccanti, ma non avevo mai voluto ascoltare il loro canto delle sirene, fino a quando non l’avevo presa in considerazione per fare un regalo a un parente, mio padre. Siccome non è un gran lettore, alla fine il regalo è diventato mio (che genio del male!).

Ricostruzione di Dionisio (Museum of Ventura County, George Stuart Gallery)

Per coloro che hanno paura di annoiarsi di fronte alla narrazione di personaggi realmente esistiti, strategie politiche o di guerra con tanto di cartine, vi dico: non temete, miei prodi! Voglio dire, sì c’è tutto questo, ma vi assicuro che lo stile di Manfredi è molto coinvolgente e comprensibile. Non mi sono mai annoiata e le cartine le ho trovate estremamente utili per capire lo svolgimento delle varie battaglie.

Non solo, la costruzione del personaggio l’ho trovata semplicemente fantastica: non è il cattivo e basta, ha un suo background completo, ricco di motivazioni, una logica intrinseca che lo spinge ad agire in una determinata maniera, con la sincera convinzione che sia nel giusto. Non mancano momenti di turbamento e dubbio, dove notiamo un’introspezione che ci ricorda che abbiamo comunque di fronte un essere umano, diverso da quello che viene narrato freddamente sui classici libri di storia.

Chiaramente, si sa che alcune vicende sono state romanzate, così come l’accorpamento o l’eliminazione di alcune figure realmente esistite, per esigenze di trama. È lo stesso autore che nelle note specifica che cosa ha dovuto tralasciare: la vita di Dionisio I è stata molto complicata (e quale non lo è, del resto 😛 ). Ma qui si parla di un potete stratega che ha passato l’esistenza a combattere, ad organizzare guerre e alleanze politiche. Inserire tutto ciò avrebbe complicato fin troppo la storia.

Alla fine, sono andata io stessa a cercare informazioni al riguardo.

Voto 5/5!

“Il migliore dei tiranni non può essere preferibile alla peggiore delle democrazie.” Il Tiranno, V. M. Manfredi

La ragazza con l’orecchino di perla – T. Chevalier

Questa sera ho deciso di parlarvi di un libro che da adolescente mi era piaciuto molto; un romanzo ambientato nell’Olanda del XVII che mischia un po’ di personaggi reali, con vicende immaginate dalla scrittrice.

Sto parlando de La Ragazza con l’Orecchino di Perla di Tracy Chevalier.

L’autrice prende ispirazione da un quadro del famoso pittore Johannes Vermeer, che si intitola “La Ragazza col Turbante” e immagina la storia dietro quel volto giovanile e stupefatto, la cui vera identità non è mai stata scoperta.

Perché tanto scalpore dietro questo quadro? Ho fatto una piccola ricerca:

-Prima di tutto perché a quei tempi le perle erano molto rare e averne una di quelle dimensioni sembra quasi surreale.

-Lo stesso orecchino è in contrasto con l’abbigliamento umile della fanciulla: se era di bassa estrazione, come mai portava un orecchino, per altro pure costoso?

-Altro punto è la sua bellezza fuori dal comune: pelle candida, labbra carnose rosso fragola e viso angelico. Sembrerebbe quasi una creatura mitologica, come una musa, ma non c’è nulla nel dipinto che dia indicazioni di un qualche simbolismo al quale voleva riferirsi il pittore.

Tracy Chevalier le ha dato il nome di Griet, un’adolescente di bassa estrazione che viene assunta come domestica proprio nella casa del famoso pittore. Qui, però, non avrà vita facile: deve fare i conti con una suocera scaltra, una moglie gelosa e sei figli viziati. Come se non bastasse, pare che tra lei e Johannes nasca una certa complicità, come se lei fosse l’unica in grado di capire il suo senso artistico.

Chiaramente si tratta di una storia inventata, ma l’autrice è stata capace di descrivere con sapienza il contesto storico, catapultandoci in un’epoca dove la divisione delle classi sociali era molto evidente e una ragazza così giovane, a maggior ragione se di bell’aspetto, poteva solo sperare di trovare un buon partito, prima che qualche marpione potesse rovinarla per sempre.

Griet, nonostante la sua età, si dimostra comunque molto astuta e non si fa mettere i piedi in testa da nessuno: è lei che prende le decisioni più giuste per sé stessa, salvandosi in curva con le sue sole forze. L’innocenza del volto è tutta apparenza, quindi: dietro quello sguardo, c’è molto di più, una sorta di potere seduttivo celato con sapienza.

Conservo davvero un piacevole ricordo di questo romanzo, ecco perché ve lo consiglio. Voto 4/5.

Ah, ho visto anche il film, ovviamente. Colin Firfth neanche lo commento perché il ruolo era semplicemente perfetto per lui! La Johansson, o meglio, la sua doppiatrice, mi ha fatto venire l’ansia con tutti quei sospiri inutili. In pratica il suo copione per il 70% era costituito dal respiro ansimante, giusto per rendere la scena carica di tensione. L’ANSIA PROPRIO!

“La vita è una cosa assurda. Ma se si vive abbastanza a lungo, non ci si sorprende di nulla.” La Ragazza con l’Orecchino di Perla, T. Chevalier