Giorni fa ho finito di leggere un romanzo che ormai mi portavo dietro da troppo, non perché fosse diventato pesante, ma per mancanza di tempo.

Si tratta de La Lettera di Kathryn Hughes, definito in alcuni siti di recensioni come un caso editoriale mondiale, avendo scalato in breve tempo le classifiche di tutto il mondo. Sarà, ma a me pare di non averlo mai visto nella top 10 dei libri più venduti…
Anzi, sinceramente sono stata spinta a dare un’occhiata alla quarta di copertina perché mesi fa l’avevo trovato in offerta a cinque euro.
Insomma, viste queste premesse sembra che stia per parlare di un romanzetto poco piacevole, valso i soldi che ho speso.
E invece no! Almeno, non del tutto…
Partiamo dalla trama: la protagonista è Tina, una giovane donna che vive una vita infelice con un marito violento. Tutti i sabati lavora al charity shop, dove vengono raccolti e venduti abiti usati e proprio qui, in un vecchio cappotto, trova una lettera d’amore mai spedita di un certo Billy, indirizzata ad una Chrissie. Inizia così la ricerca di Tina per trovare la destinataria e consegnarle ciò che avrebbe dovuto ricevere più di trent’anni prima.
La storia in sé è carina, anche se non stiamo parlando di un prodotto originale: possiamo dire che ci sia qualcosa di già visto e sentito, anche nella struttura, dove vengono alternati più punti di vista (sempre in terza persona), fra presente e passato. È un sistema che ultimamente sto riscontrando in molti romanzi contemporanei: sembra che la classica concatenazione lineare ormai sia passata di moda.
Perciò, nonostante si abbia la sensazione di leggere qualcosa di ripetitivo, le pagine scorrono velocemente senza accorgersene e i passaggi temporali non disturbano, poiché si prendono tutto lo spazio necessario per abituarsi e orientarsi al nuovo protagonista.
Per quanto riguarda le note dolenti, ci sono alcune cose che personalmente non ho apprezzato.
La storia d’amore fra Billy e Chrissie è abbastanza scontata e stucchevole: lui playboy-bisteccone-superbonazzo che si innamora della ragazza timida e introversa. Dove l’avevo già sentita? Ah sì, praticamente in ogni singolo teen movie americano!!! Un po’ di fantasia, suvvia! La scrittrice ha cercato di riscattarsi rendendo la loro storia più triste di quanto ci si sarebbe aspettati.

Inoltre, ho riscontrato alcune ridicole incongruenze nella storia, che mi hanno fatto storcere il naso:
- Chrissie, figlia di un medico e di una levatrice, è convinta di non poter rimanere incinta in una determinata posizione sessuale. Francamente lo trovo assurdo, anche perché più volte dimostra di avere conoscenze approfondite sulla gravidanza e sul parto, dato che ha aiutato entrambi i genitori nel proprio lavoro. Come poteva non sapere niente riguardo al concepimento?
- Il personaggio di Tina cambia improvvisamente nel corso della storia: se prima aveva una certa razionalità nella valutazione del comportamento del marito, ad un certo punto diventa improvvisamente ingenua e fa finta di non vedere gli stessi segnali che l’hanno spinta a cercare una via di fuga. Sul finale, poi, torna ad essere come all’inizio. Io capisco che un personaggio debba avere un’evoluzione credibile influenzata dagli eventi, ma cambiare completamente personalità, anche no. E difatti, nel corso della storia arriva a ritenersi lusingata per le scenate di gelosia del marito, convinto che tutti gli uomini vogliano portarsi a letto la moglie. Una dimostrazione d’amore, a suo dire.

Altro punto, farei un minuto di silenzio per uno dei personaggi più spietatamente friendzonati della storia: Jackie, eroe incompreso e mai decantato.
Scherzi a parte, vorrei concludere con una riflessione che ho trovato un po’ triste e fastidiosa (censuro i nomi per evitare spoiler): “A. voleva bene a B. anche se non era suo figlio naturale. Figurarsi quanto avrebbe amato lei quel bimbo che aveva tanto desiderato e portato in grembo per nove mesi.“
Questo cosa vorrebbe dire? Che una madre adottiva non potrà mai amare tanto quanto una madre biologica, proprio perché il figlio non l’ha partorito lei?
Lasciatemi dire che si tratta di una considerazione ignorante, scritta da una persona che evidentemente ha dei pregiudizi sulla questione. Basta leggere le testimonianze di chi ci è passato per comprendere che essere genitori adottivi non rende meno capaci di amare un figlio.
Voto 3/5.
Julia
“Adorava le piccole cose. Il debole ronzio di un enorme bombo peloso che svolazzava solerte di fiore in fiore, ignaro che dal suo compito dipendessero le sorti dell’umanità. Il profumo inebriante e la magnifica esplosione di colore dell’aiuola… E poi suo marito che si massaggiava la schiena dolorante mentre concimava le rose senza fiatare, sebbene ci fossero mille altri compiti di cui avrebbe preferito occuparsi.” La Lettera, K. Hughes