La ragazza interrotta – S. Kaysen

Per molte persone il nome Susanna Kaysen potrebbe non dire nulla, ma a sentir La ragazza interrotta salterebbe subito alla mente il film dal titolo molto simile del 1999, diretto da James Mangold.

E difatti, il lungometraggio Ragazze interrotte trae proprio ispirazione da questo diario autobiografico, dove l’autrice racconta la sua esperienza in manicomio, vissuta alla fine degli anni Sessanta.

Questo libro ha fatto parte della mia wishlist per diversi mesi, prima di decidermi a comprarlo e leggerlo. Nel frattempo avrò visto il film almeno un paio di volte: una storia toccante che lascia il segno, soprattutto per chi da quell’incubo non è più uscito.

Quando ho iniziato a leggere il diario ero sicuramente carica di aspettative: mi aspettavo un racconto lineare, dove forse si entrava più nei dettagli nelle storie che riguardavano le altre pazienti. Mi sarebbe piaciuto sapere anche che fine avessero fatto tutte.

Ad essere sincera, sono rimasta un po’ delusa in generale, perché l’ho trovato confusionario nella narrazione. In aggiunta, mi sono resa conto che per il film si è dato ampio spazio all’interpretazione, cercando di mettere in successione eventi raccontati a random.

Infatti il libro è così strutturato: una serie di brevi episodi raccontati in prima persona, intervallati da fotocopie di referti medici originali che riguardano Susanna stessa. Non ci sono date ad inizio capitolo, perciò non si riesce a collocare gli eventi all’interno di una linea temporale. L’ordine di presentazione non c’entra nulla, anche perché prima si parla della morte di un personaggio, il quale ricompare alcuni capitoli dopo.

Nella parte finale ci sono una serie di considerazioni dell’autrice riguardo alla sua patologia, da dove ha tratto il titolo del libro e giusto un paio di episodi per raccontare che fine abbiano fatto Lisa e Georgina.

Insomma, mi sarei aspettata un po’ più cura da questo punto di vista.

Ricordo che anche Alda Merini ne L’Altra Verità, oppure Chamed in Mi si è fermato il cuore, comunque hanno cercato di dare un ordine agli eventi, una sorta di orientamento per il lettore, seppur con stili completamente differenti.

Invece, la mia impressione è che Kaysen abbia voluto trascrivere un diario per sé stessa, una sorta di sfogo personale terapeutico per staccarsi definitivamente da quella esperienza in ospedale psichiatrico.

La sua narrazione rimane comunque lucida nella descrizione di atteggiamenti bizzarri che la caratterizzano, anche se a tratti sembra che lei stessa voglia negare di avere dei disturbi psichiatrici; invero, mostra delle perplessità riguardo al trattamento a lei riservato o all’interpretazione dei suoi comportamenti, così come alle condizioni che determinano la diagnosi stessa.

Celebre infatti è la sua osservazione riguardo alla promiscuità femminile, messa a confronto con quella maschile: un giudizio che spinge a riflettere, peraltro riportato anche nel film.

Insomma, lo consiglio? Sì, ma più che altro per le interessanti riflessioni riguardo agli stessi disturbi.

Ps: nel film ci sono aspetti diversissimi rispetto al libro, primo fra tutti le sembianze dei personaggi. L’infermiera Valerie nella realtà era bionda con carnagione chiara, mentre Lisa mora. Inoltre, alcuni episodi sembrano inventati di sana pianta, come la fuga di Susanna e Lisa, che raggiungono la casa di Daisy oppure la diagnosi di altre pazienti.

I matti sono un po’ come i calciatori scelti per battere il rigore. Spesso è pazza l’intera famiglia, ma poiché non può entrare tutta in ospedale, si sceglie una sola persona come pazza e la si interna. Poi, a seconda di come si sentono gli altri componenti, la si tiene dentro o la si risbatte fuori, per dimostrare qualcosa sulla salute mentale della famiglia stessa.La Ragazza Interrotta, S. Kaysen

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