Ci sono periodi come questo in cui purtroppo c’è poco spazio per la lettura, ma questa mattina mi sono voluta ritagliare una mezz’ora per parlavi di un libro che ho finito di recente.
Dunque, l’autrice Simonetta Agnello Hornby è conosciuta da anni, ma solo nell’ultimo biennio continuo a veder parlare di lei nei gruppi lei lettori, soprattutto in relazione agli ultimi romanzi: Punto Pieno e Piano Nobile.
Così, come tante altre volte, mi sono incuriosita e ho deciso di scoprire la sua penna artistica scegliendo, per puro caso lo ammetto, il romanzo d’esordio che l’ha resa famosa e ha inaugurato una prolifica carriera letteraria.

La Mennulara, che ad oggi si presenta anche con la consueta copertina dove una fanciulla di spalle è mezza coperta da drappi di dubbio gusto, è stato pubblicato per la prima volta nel 2002, per poi essere riveduto e arricchito nel 2019 attraverso una Graphic Novel di Massimo Fenati.
La storia è ambientata a Roccacolomba, un paesello inventato che si troverebbe in provincia di Palermo. Le vicende iniziano nel 23 settembre del 1963, quando la domestica di casa Alfallipe Maria Rosaria Inzerillo, detta Mennulara, muore prematuramente.
Non sarebbe poi una vicenda così straordinaria, se non fosse che nella famiglia altolocata dove aveva prestato servizio, era diventata una vera e propria amministratrice del patrimonio, facendolo fruttare a tal punto da riuscire a comprare una casa per sé stessa e pagare gli stipendi dei tre eredi ignoranti e incapaci.
Ora che è morta, però, sono iniziate speculazioni e pettegolezzi di ogni genere: come ha fatto a diventare così ricca? Avrà lasciato un’eredità ai membri della famiglia Alfallipe? Ha davvero rubato il loro denaro? Era coinvolta nelle attività della mafia locale?
Nel paese le voci iniziano a circolare, le persone non perdono neanche un dettaglio della vicenda e chi sa qualcosa inizia a fare il giro di conoscenze per aggiornare sugli ultimi pettegolezzi.
Man mano che si prosegue nella lettura si scopre un pezzo alla volta chi era questa donna, le sue origini, la sua vita e come è finita a lavorare per gli Alfallipe, ai quali ha dedicato praticamente tutta la sua esistenza, sacrificando la giovinezza.
Dunque, veniamo alle mie considerazioni personali.
Per prima cosa, senza troppi giri di parole, non sopporto lo stile di scrittura di questa autrice! Il racconto è suddiviso in numerosi capitoli, con un irritante riassunto iniziale che anticipa ciò che succede, togliendo anche ogni entusiasmo per eventuali colpi di scena.
Mi domando quale sia il senso di inserire quelle due righe di spiegazione come se fossimo alle scuole elementari: spezzano il ritmo e sono del tutto inutili. Ad un certo punto le ho ignorate deliberatamente.
Un altro aspetto che non ho apprezzato è la presenza di numerosi personaggi, molti dei quali sono inutili quanto i riassunti di prima: servono solo a creare confusione e ad alimentare l’idea che ci siano tante persone a spettegolare sulla vicenda.
Senza contare che è difficile ricordarseli tutti, anche perché hanno la stessa personalità: sono piatti, non hanno carattere e appaiono come una serie maschere che appiattiscono il racconto.
L’unica che spicca è la Mennulara (e menomale).
Per quanto riguarda la storia, sono costretta a fare delle anticipazioni per esprimere la mia opinione.
La sensazione che mi ha lasciato è una profonda tristezza nei confronti di questa donna che ha vissuto una vita infelice e nell’ombra, nonostante abbia lottato con le unghie e con i denti per mantenere salda la sua dignità.
Non solo subisce una violenza sessuale praticamente da bambina, ma per salvare il suo onore (come se fosse stata colpa sua), viene spedita a lavorare a casa degli Alfallipe. Qui diventa la concubina del giovane erede Orazio, che seguirà anche dopo che si sarà sposato.
La storia d’amore dei due è travagliata e può essere vissuta solo di nascosto: nessuno avrebbe mai accettato un matrimonio tra una serva orfana e un ragazzo nobile. Lei per lui ci sarà sempre, anche alla morte, aiutandolo in prima persona a porre fine alle sue sofferenze.
Il culmine della tristezza, se vogliamo, è che solo una volta passati a miglior vita hanno potuto esprimere il sentimento reciproco senza vergogna, attraverso l’evento artistico annuale “La Mennulara“.
Un altro aspetto che emerge da queste vicende è che purtroppo, molto più spesso di quanto si pensi, i meriti e i privilegi vengono dati per titoli che si hanno già alla nascita, non certo per capacità personali. Se da povero diventi ricco, si inizia a dubitare sulle modalità di successo.
Una visione cinica e rassegnata, arricchita anche da luoghi comuni, che oggi non vale più così tanto.
Voto 2/5.
Julia
PS: ma Aldo Busi che libro ha letto per definirlo “divertimento maestoso”?!
Io questi libri non riesco a leggerli se non con grosso sacrificio. Le opere di Verga, e anche Marianna Ucria della Maraini… mi lasciano questa rabbia per la società siciliana dell’epoca, Lo do che così stavano le cose e che gli autori non fanno che dipingere un quadro reale, ma non riesco a non giudicare e in genere questi libri non mi catturano. E li giudico con voti peggiori di quanto forse meriterebbero.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Probabilmente è proprio quello l’intento: suscitare indignazione nei confronti di queste realtà considerate “normali”. A me dispiace che qui c’era un gran potenziale, ma non ho potuto soprassedere sullo stile che ho trovato insopportabile.
"Mi piace""Mi piace"