Con la lettura di oggi colgo l’occasione per aggiornarvi sulla mia esperienza come socia del Club degli Editori, al quale ho dedicato un articolo dettagliato che potete trovare qui.
Ormai è da più di un anno che ne faccio parte e penso di poter fare un bilancio sia in positivo, sia in negativo.
Dunque, ho letto spesso critiche sul Club degli Editori, soprattutto in relazione alla presunta difficoltà di cancellarsi come socio oppure rifiutare il libro del mese; in realtà, questi credo siano aspetti superati perché, come spiego nello stesso articolo di cui sopra, esistono diverse procedure per togliersi dai vincoli previsti per i soci.
Gli elementi che personalmente non apprezzo sono principalmente due:
- Il catalogo che si presenta come ricco di volumi (sono 150 proposte circa ogni mese) ha sempre gli stessi titoli che girano e rigirano, soprattutto quelli che per il momento vanno per la maggiore, i classici tormentoni che potete trovare in ogni gruppo di lettori. Esatto, parlo proprio della saga dei Florio oppure dei romanzi della Pérrin, giusto per fare un paio di esempi. Insomma, a ben vedere, la scelta non è poi così variegata.
- Il libro del mese è quasi sempre un thriller, cosa che non torna utile per i lettori che, come me, non hanno questo genere fra i propri preferiti. Questo mi spinge a dover controllare costantemente il sito per rifiutare il titolo del momento ed evitare di riceverlo nonostante non abbia alcun interesse a leggerlo (mi è successo almeno un paio di volte).
Di contro, però, ho fatto anche degli ottimi affari come acquistare best seller con uno sconto minimo del 20% oppure tris di libri pagando il 75% in meno!
Il giardino dalle mille voci di Ewald Arenz appartiene proprio a quest’ultima categoria, un romanzo che qui in Italia è quasi del tutto sconosciuto – su Ibs non esistono recensioni e su Amazon non raggiungono nemmeno la trentina – mentre in Germania ha avuto successo fin dal giorno della sua uscita.

Ecco qualche cenno sulla trama: Sally è una diciassettenne che scappa dalla clinica dove era rinchiusa per curare i suoi disturbi alimentari, perché è stufa delle persone che non la capiscono e dettano solo delle regole che lei deve seguire. Nella sua fuga raggiunge un paese di campagna con pochi abitanti e tanta natura, dove sembra che il tempo si sia fermato. Qui ad ospitarla è la taciturna Liss, che non le fa domande personali, ma la coinvolge a poco a poco nel lavoro dei campi, come una sorta di terapia benefica che però riguarda entrambe, perché anche questa donna nasconde dei segreti che la tormentano.
Nonostante, il libro non contenga un gran numero di pagine (superano di poco le duecento), si presenta comunque come una lettura impegnativa perché si concentra molto sull’analisi introspettiva delle protagoniste: da una parte abbiamo una ragazza arrabbiata con il mondo, sempre sulla difensiva, che desidera solo essere lasciata in pace e sentirsi libera.
Dall’altra c’è Liss, una donna che si sente appassire nella sua enorme fattoria, dove cerca di tenere a bada la frustrazione attraverso il piacere che trae dal lavoro nei campi, con i suoi ritmi regolari e la soddisfazione da ciò che produce.
Senza anticipare il finale, fra le due nasce un’amicizia profonda che le spinge a trovare forza l’una nell’altra per germogliare come i fiori dello stesso giardino che le circonda. Il simbolo di questo tentativo di riscatto è rappresentato dal giardino delle pere, che Liss inizialmente tiene gelosamente nascosto, anche perché è legato a sensazioni più negative che positive, per poi diventare una piacevole oasi di pace per entrambe.
Nel corso della storia l’autore accosta spesso le immagini della natura con la lotta interiore delle donne, soprattutto per quanto riguarda Liss, che ha un animo decisamente più tormentato, regalando al lettore un’immagine viva e poetica di ogni sentimento. Questo è uno degli aspetti che più mi sono piaciuti.
Invece, non ho del tutto apprezzato la struttura narrativa: le vicende del presente vengono a volte interrotte da flashback che riguardano il passato di una delle due, ma ci vuole qualche riga di lettura prima di riuscire a orientarsi e capire di chi si sta effettivamente parlando. Senza contare che in quei frangenti i dialoghi vengono riportati senza punteggiatura, rendendoli solo più irritanti, anche se capisco il tentativo di farli sembrare più simili a dei ricordi.
**Da qui in poi possono esserci anticipazioni sul finale**
Il finale della storia non mi è sembrato poi così scontato: non ci sono stravolgimenti nella vita delle due donne a livello fisico, perché Liss alla fine non fugge dalla fattoria, non incontra il figlio Peter, non affronta di petto il padre-padrone ecc. Così come Sally alla fine dovrà comunque tornare a casa ad adempiere ai suoi doveri, fra cui finire la scuola.
L’happy ending, se così si può definire, è tutto concentrato nell’animo delle protagoniste che riescono a vincere sui sentimenti negativi che le imprigionavano: la vera libertà non è quella fisica, ma quella che si ottiene a livello mentale, decidere per sé stessi ciò che rende davvero felici, senza doversi preoccupare di accontentare continuamente qualcuno, con il risultato di ritrovarsi alle soglie della mezza età pieni di rimpianti.
Un messaggio potente che si avverte come un’eco in tutto il romanzo per poi esplodere sul finale.
Attenzione, però, perché questo non significa fare tutto ciò che si vuole, ma trovare una sorta di equilibrio personale. Non a caso, Liss e Sally rappresentano due estremi di un’unica vita, due punti fondamentali nell’esistenza di ciascuna persona: la voglia di “spaccare il mondo” che si ha da ragazzini, in contrapposizione al resoconto che si fa in età più matura.
Non si può vivere per sempre in camper, senza responsabilità e pensieri, così come non si può decidere dall’oggi al domani di trasferirsi in una fattoria sperduta, facendo finta che il resto del mondo non esista più.
In sostanza, libertà non vuol dire fuggire, ma scegliere come affrontare ogni esperienza senza rinunciare alla propria felicità.
Voto 4/5.
Julia
“Quella donna non doveva pensare che lei adesso sarebbe tornata indietro. Non era così debole. Il malleolo bruciava ad ogni pedalata e questo era un bene. Pedalò più in fretta e più forte, si alzò e proseguì stando in piedi. Il vento le asciugò gli occhi. Quando arrivò all’inizio del bosco le bruciavano così tanto i polmoni che neanche più sentiva il malleolo, e riuscì giusto a vedere dove Liss sparì fra gli alberi.” Il giardino dalle mille voci, E. Arenz