Grandi classici: Agnes Grey – A. Brontë e Fiera del Libro

Nel mese di settembre mio marito (G.) decide di farmi una sorpresa e mi porta al centro di Bologna, con mia grande perplessità, dato che entrambi detestiamo le città in genere (non a caso abitiamo alle pendici di una montagna).

Prima di scendere dall’auto lo vedo prendere il sacco di tela che teniamo come scorta per la spesa, il quale puntualmente dimentichiamo appena entriamo all’Esselunga.

“Questo ci servirà…” commenta con un sorriso malizioso. Nel frattempo, io inizio a chiedermi cos’abbia in mente: dovevamo venire fino a Bologna per girare il mercato??

Intorno a noi zero indizi: abbiamo parcheggiato proprio nei pressi della stazione, dove da una parte c’è gente che si muove con passo felpato vestita come me quando scendo in paese per prendere le crocchette dei gatti e da un’altra, in un’auto parcheggiata, due ragazzi sono intenti a registrare una story su un social.

“Ma dove stiamo andando?” chiedo con la mia solita pazienza, cercando di nascondere una punta di nervosismo.

“Adesso vedi… Tempo al tempo.”

Insomma, ci muoviamo nel traffico attraversando strade bagnate e penso che detesto anche uscire con la pioggia. Mi guardo attorno per cercare di orientarmi, ma non vedo niente di familiare.

Alla fine, in una piazza (XX settembre) scopro un tendone enorme dove si intravedono delle bancarelle: è la Fiera del Libro di Bologna, attiva dal 1927! Un errore imperdonabile non averla mai vista o conosciuta, soprattutto per una lettrice che abita a circa un’oretta di distanza.

Mentre G. spiega soddisfatto di cosa si tratta, per l’entusiasmo smetto di ascoltare dopo 0,2 secondi e inizio ad aggirarmi per i banconi, come una bambina in mezzo ai giocattoli. Volumi di ogni genere e dimensione riempiono ogni singolo centimetro delle superfici, sotto gli occhi estasiati di lettori e collezionisti incalliti. Osservare quel mare di parole è stato divertente: sembrava una caccia al tesoro per trovare l’affare migliore.

Inutile dire che alla fine il sacco di tela è tornato utile e ho comprato ben 11 libri, spendendo circa una sessantina di euro. Fra questi, grandi classici e best seller a prezzi davvero stracciati, che hanno riempito altri ripiani della mia libreria in attesa di essere letti nelle prossime vite parallele.

La Fiera si è conclusa il 7 novembre, ma presumo che venga riaperta anche l’anno prossimo più o meno nello stesso periodo.

Per quanto riguarda i libri acquistati, tra questi ho preso il grande classico Agnes Grey di Anna Brontë, la sorella minore di Charlotte ed Emily. Purtroppo, si tratta di uno dei due soli volumi da lei scritti, data la sua morte precoce all’età di 29 anni a causa della tubercolosi.

La storia narrata risulta essere in parte autobiografica: Agnes è una ragazza di circa 18 anni che decide di andare a fare la governante in casa di persone altolocate per aiutare la famiglia caduta in disgrazia. Come si può immaginare, non si tratta di un lavoro facile, soprattutto quando si ha a che fare con ragazzini viziati poco collaborativi e genitori disposti a difenderli sempre.

Attraverso una prosa elegante ci vengono raccontate le contraddizioni dell’epoca vittoriana, con una contrapposizione continua fra l’ignoranza e l’ipocrisia della nobiltà, con i principi morali e religiosi dei popolani come Agnes.

Dunque, ho letto tante recensioni positive in merito, ma personalmente non mi sento di gridare al capolavoro. Precisiamo che non nego l’abilità di scrittura dell’autrice, anche se ho letto solo la traduzione e non l’originale, ma rispetto alla sorella Emily, mi è sembrata un po’ meno capace e coinvolgente.

Mi spiego meglio: Cime Tempestose è un romanzo ricco di poesia, dove si può parlare per ore riguardo alle possibili interpretazioni, considerati i numerosi simbolismi inseriti dalla stessa autrice. Per alcuni ancora oggi non è del tutto chiaro cosa volesse comunicare alla fine: che la bontà trionfa sempre? Oppure avere pietà per il malvagio Heathcliff?

Qui, invece, si lascia poco spazio ai film mentali, anche perché la narrazione viene affidata alla protagonista Agnes, che a volte rallenta di molto il ritmo con le sue elucubrazioni sulla moralità cristiana. Nonostante sia anche io una persona credente, ho trovato questo personaggio un po’ ipocrita e fastidioso: lei che condanna i pregiudizi delle persone altolocate, ne è ugualmente colpevole mettendo tutti i ricchi sullo stesso piano, in quanto li considera superficiali, maleducati, rozzi e viziati, senza prendersi la briga di conoscerli davvero.

A ben guardare, le persone che ricevono elogi da parte sua sono solo coloro che stanno peggio di lei, che sia per una vita infelice o perché hanno meno possibilità economiche.

In sostanza, secondo l’autrice chi è ricco non ha morale, chi è povero invece sicuramente è una persona buona.

Ad un certo punto mi è sembrata un po’ la favola della volpe che non arriva all’uva: la protagonista più volte ammette di non essere particolarmente bella, elegante nei modi, vestita bene ecc., perciò se la prende con chi questi punti di forza li ha e li sfrutta. Fermo restando che anche il personaggio di Rosalie l’ho trovato ugualmente insopportabile, ma se non altro era una ragazzina cresciuta in un ambiente poco sano e spinta a fare scelte sbagliate dagli stessi genitori.

Lasciando da parte questo discorso, bisogna comunque apprezzare la presenza di un tema attualissimo e che a quei tempi sicuramente andava controcorrente, ovvero quello del ruolo femminile. Agnes, infatti, fa di tutto per poter lavorare e contribuire al bilancio familiare, imponendosi di superare l’insicurezza nell’uscire dalla sua comfort zone.

Difatti, dopo essere caduti in disgrazia, chi rialza le sorti della famiglia sono proprio le donne che si rimboccano le maniche e provano a tornare a galla, mentre il padre cade in disperazione.

**Da qui in poi anticipazioni sul finale**

Agnes è una donna colta e intelligente, perciò decide di tentare a fare un lavoro che le consenta di sfruttare le sue capacità. Ci prova per anni con tutte le sue forze, pur lamentandosi a volte per cose a mio avviso assurde, come il fatto di sedersi nel prato per fare lezione.

Alla fine, nonostante il bisogno economico, non è disposta a farsi trattare come un essere inferiore da persone incapaci di guardare al di là del proprio naso, le stesse che possono vantarsi di essere ricche per il semplice fatto di essere nate in famiglie agiate e non per particolari doti intellettuali.

Con grande coraggio abbandona tutto per gettarsi in una vera e propria impresa familiare con la madre, che in poco tempo darà anche i suoi buoni frutti.

Tuttavia, mi sarei aspettata che avesse continuato a lavorare con lei anche dopo il matrimonio, anche perché è andata ad abitare in una contea vicina. Ma in fin dei conti, stiamo sempre parlando dell’epoca vittoriana e già quanto scritto può essere considerato fuori dagli schemi del tempo.

Voto personale 3/5.

Julia

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