La casa degli specchi – C. Caboni

È ormai un mese che non scrivo una recensione: l’ultima volta eravamo nel pieno delle piogge, degne di Londra, ma adesso l’estate ha cominciato a fare sul serio.

In pratica da marzo siamo passati direttamente a luglio. Mi domando ad agosto quanti di noi sopravvivranno al caldo torrido…

Comunque, l’importante è mettere in pratica i soliti consigli del tg5: non uscire quando fa caldo, bere tanto e rinfrescarsi spesso.

Insomma, con questo clima da Vamos a la playa, ho voluto leggere un romanzo leggero, il classico da ombrellone, che fra l’altro è ambientato a Positano, sulla bellissima Costiera Amalfitana.

Sto parlando de La Casa degli Specchi di Cristina Caboni, un best seller che ha avuto un discreto successo nel nostro Paese.

Ah, piccolo consiglio: se cercate letture leggere, vi basta guardare la copertina. Se c’è una tizia di spalle con abiti d’altri tempi, significa che la storia prevede una buona dose di amore, zucchero e tante belle cccouse.

Comunque, la trama è questa: Milena è cresciuta a Positano insieme al nonno Michele, un famoso orefice, nella Villa degli Specchi. Sua mamma purtroppo è morta quando era solo una bambina, suo padre abita a Roma insieme a Teresa e la nonna è scomparsa da tanti anni senza lasciare traccia.

Un giorno, durante dei lavori, viene rinvenuto uno scheletro nel pozzo del giardino, il quale indossava un orologio d’oro evidentemente prodotto dal nonno. Lui dal canto suo inizia a perdere lucidità e pare che la questione della nonna scomparsa nasconda molto di più di quanto sembri.

Nel corso della storia Milena cercherà di scoprire la verità, a maggior ragione dopo che trova nella casa un passaggio nascosto che dà verso una stanza carica di ricordi.

Dunque, devo dire che lo stile di scrittura l’ho trovato piacevole: è leggero, scorrevole e coinvolgente. I luoghi sono descritti così bene che sembra di trovarsi lì in mezzo a quel paradiso.

Anche i flashback secondo me sono stati raccontati in maniera eccelsa, mischiando elementi della storia inventati, ad aneddoti reali riguardo a personaggi famosi.

Ciò che mi ha fatto storcere un po’ il naso è l’aspetto sentimentale delle vicende: la parte della nonna mi è sembrata più coinvolgente rispetto a quella di Milena. Peraltro, la sua confusione sul da farsi ha reso insipido ogni rapporto amoroso instaurato.

Senza contare che non mi pare appropriata la confidenza che si prende un maresciallo nel corso delle indagini, come se fra i due ci fosse un rapporto confidenziale già prima del ritrovamento del cadavere.

Il finale mi è sembrato un po’ surreale e fin troppo ottimista, ma non dico altro per non fare spoiler.

Voto 3/5.

“Quando si è incapaci di far fronte a qualcosa, la si ignora. Si finge che non sia successo davvero. Si può affrontare la sofferenza in tanti modi. Espiando. Dimenticando. Io ho fatto entrambe le cose.” La casa degli specchi, C. Caboni

Tormentone: I Leoni di Sicilia

Con questo articolo vorrei inaugurare una nuova rubrica dedicata a quei libri che non si accontentano di essere dei semplici best seller, ma diventano dei veri e propri tormentoni, comparendo ovunque, sotto forma di migliaia di post dedicati o messaggi subliminali.

Uno di questi è I Leoni di Sicilia di Stefania Auci che, nonostante sia uscito nel 2019, a metà 2020 ancora si poteva vantare di trovarsi ai primi posti in classifica.

Quando la gente ha cominciato ad illudersi che il tormento fosse concluso, ecco che compare il secondo volume L’Inverno dei Leoni che fa ritornare la saga in auge. Ed è stato proprio in quel momento che ho deciso di leggerlo, chiedendomi: ma sarà veramente così bello come dicono?

Dunque, il materiale su cui bisognava lavorare era molto: stiamo parlando di una delle famiglie più influenti e ricche del panorama palermitano del XIX secolo, ovvero i Florio. Da un’attenta analisi della documentazione a disposizione si sarebbero potute prendere due strade:

-Una saga ricca di eventi storici ben documentati che si concatenano alle vicende della famiglia Florio, per spiegare in maniera romanzata come questa dalle umili origini abbia raggiunto tanto successo.

-Troppa roba! Scherziamo? Cerco su Wikipedia per inserire giusto qualche cenno storico a inizio capitolo, poi mi concentro sulle storie d’amore trasformandole in un penoso Harmony!

Secondo voi quale sarà stata la scelta?

È inutile girarci attorno: non mi è piaciuto per niente e non saprei neanche da che parte iniziare per spiegarne le ragioni! Prima di tutto lo stile l’ho trovato fastidioso: all’inizio la narrazione si alterna senza motivo fra tempo passato e presente; successivamente mantiene una certa coerenza, ma i periodi appaiono frammentati peggio che nei thriller, senza che ci si senta mai pienamente coinvolti.

Per quanto riguarda i personaggi, a me sono sembrati sempre uguali: non evolvono, non c’è maturazione, non c’è una sorta di cambiamento legato agli eventi o formazione. Nulla. Alcuni addirittura si assomigliano, come gli uomini della famiglia Florio. Altri spariscono nel dimenticatoio, attraverso espedienti raffazzonati per liquidare la loro assenza, come Vittoria o le figlie di Vincenzo.

Gli eventi storici sono appena accennati e quando se ne parla sembra di leggere un riassunto tratto alla meglio da Wikipedia, incastrato a forza nella storia della famiglia, senza che si riesca realmente a comprendere il filo logico degli eventi. Stesso discorso per quanto riguarda l’ascesa di questa famiglia: dall’oggi al domani sono pieni di soldi e tu ancora ti stai chiedendo il percorso che hanno intrapreso per arrivare a tale prestigio.

A parer mio c’era davvero tanto materiale interessante su cui lavorare, ma lo sviluppo è stato deludente sotto tutti i punti di vista. Sarà che sono reduce dalla maestria di Manfredi per ciò che riguarda il romanzo storico, oppure ho in mente la famiglia dei Malavoglia di Verga. O ancora, mi è rimasta nel cuore la poesia deleddiana espressa in Canne al Vento.

In questo caso non raggiungiamo nemmeno la sufficienza.

Non comprendo neanche perché il riassunto della copertina presenti Giuseppina e Giulia come due grandi donne, segno che chi l’ha scritto probabilmente non l’ha neanche letto tutto il romanzo.

Giuseppina è uno dei personaggi più antipatici, nonché fuori contesto: a quei tempi era consuetudine sposarsi per matrimoni combinati, perciò non si capisce il suo disappunto come se fosse stata l’unica a sopportare una tale sorte. Tant’è che quando il figlio cresce è lei stessa a cercare una sposa degna per lui. A proposito di istinto materno, anche qui si denota un rapporto morboso che la porta a consumarsi di gelosia, oltre che per il rancore.

Giulia, invece, decide di gettare via la propria dignità per stare dietro ad un gran narcisista, disposta ad annullarsi come persona pur di non perderlo.

In entrambi i casi non mi pare che si stia parlando di donne eccezionali.

E mi fermo qui perché avrei altro da aggiungere, ma non vorrei trattenervi fino a Capodanno.

Voto 2/5. Uniche note di merito: l’italiano e l’ultima pagina. Davvero.

Buone feste!

Julia

Il Tiranno – V. M. Manfredi

Quando si sente la parola “tiranno” ciò che viene in mente è sicuramente una persona con una serie di caratteristiche negative, un cattivo per eccellenza. Ma perché è giunto a questo punto? Qual è la logica che sta dietro alle sue azioni?

Nel romanzo storico di Valerio Massimo Manfredi, intitolato per l’appunto Il Tiranno, si parla dell’ascesa e della rovina di Dionisio I di Siracusa, vissuto nel V secolo a.C. Nonostante le fonti storiche pervenute a volte risultino contradditorie e incomplete – per esempio, non si sa niente riguardo alla sua origine – l’autore ha saputo raccontare le vicende del personaggio con coerenza, inserendo molte informazioni riguardo alle strategie politiche, le guerre intraprese (a qui tempi di parla di guerre greco-puniche) e il contesto storico-culturale. Non per niente, stiamo parlando di uno degli archeologi italiani più famosi.

Devo ammettere che lo stile di Manfredi non mi è nuovo: da adolescente c’era stato assegnato Idi di Marzo, un compito che ho accolto con una certa riluttanza. A quei tempi la mia testa era occupata da fantasie romantiche che prevedevano amori impossibili e gesta eroiche; perciò, ritornare con i piedi per terra, per giunta leggendo qualcosa che avrei trovato anche sui libri di scuola, mi faceva rabbrividire!

E invece, mi sono dovuta ricredere! Ovviamente a quei tempi non ho dato la soddisfazione di aver apprezzato i romanzo, per altro assegnato da una prof che mi stava parecchio antipatica 😛

Poco tempo fa ho deciso di approcciarmi di nuovo a Manfredi; erano mesi che nelle librerie la sezione “romanzi storici” mi rivolgeva occhiate ammiccanti, ma non avevo mai voluto ascoltare il loro canto delle sirene, fino a quando non l’avevo presa in considerazione per fare un regalo a un parente, mio padre. Siccome non è un gran lettore, alla fine il regalo è diventato mio (che genio del male!).

Ricostruzione di Dionisio (Museum of Ventura County, George Stuart Gallery)

Per coloro che hanno paura di annoiarsi di fronte alla narrazione di personaggi realmente esistiti, strategie politiche o di guerra con tanto di cartine, vi dico: non temete, miei prodi! Voglio dire, sì c’è tutto questo, ma vi assicuro che lo stile di Manfredi è molto coinvolgente e comprensibile. Non mi sono mai annoiata e le cartine le ho trovate estremamente utili per capire lo svolgimento delle varie battaglie.

Non solo, la costruzione del personaggio l’ho trovata semplicemente fantastica: non è il cattivo e basta, ha un suo background completo, ricco di motivazioni, una logica intrinseca che lo spinge ad agire in una determinata maniera, con la sincera convinzione che sia nel giusto. Non mancano momenti di turbamento e dubbio, dove notiamo un’introspezione che ci ricorda che abbiamo comunque di fronte un essere umano, diverso da quello che viene narrato freddamente sui classici libri di storia.

Chiaramente, si sa che alcune vicende sono state romanzate, così come l’accorpamento o l’eliminazione di alcune figure realmente esistite, per esigenze di trama. È lo stesso autore che nelle note specifica che cosa ha dovuto tralasciare: la vita di Dionisio I è stata molto complicata (e quale non lo è, del resto 😛 ). Ma qui si parla di un potete stratega che ha passato l’esistenza a combattere, ad organizzare guerre e alleanze politiche. Inserire tutto ciò avrebbe complicato fin troppo la storia.

Alla fine, sono andata io stessa a cercare informazioni al riguardo.

Voto 5/5!

“Il migliore dei tiranni non può essere preferibile alla peggiore delle democrazie.” Il Tiranno, V. M. Manfredi

La ragazza con l’orecchino di perla – T. Chevalier

Questa sera ho deciso di parlarvi di un libro che da adolescente mi era piaciuto molto; un romanzo ambientato nell’Olanda del XVII che mischia un po’ di personaggi reali, con vicende immaginate dalla scrittrice.

Sto parlando de La Ragazza con l’Orecchino di Perla di Tracy Chevalier.

L’autrice prende ispirazione da un quadro del famoso pittore Johannes Vermeer, che si intitola “La Ragazza col Turbante” e immagina la storia dietro quel volto giovanile e stupefatto, la cui vera identità non è mai stata scoperta.

Perché tanto scalpore dietro questo quadro? Ho fatto una piccola ricerca:

-Prima di tutto perché a quei tempi le perle erano molto rare e averne una di quelle dimensioni sembra quasi surreale.

-Lo stesso orecchino è in contrasto con l’abbigliamento umile della fanciulla: se era di bassa estrazione, come mai portava un orecchino, per altro pure costoso?

-Altro punto è la sua bellezza fuori dal comune: pelle candida, labbra carnose rosso fragola e viso angelico. Sembrerebbe quasi una creatura mitologica, come una musa, ma non c’è nulla nel dipinto che dia indicazioni di un qualche simbolismo al quale voleva riferirsi il pittore.

Tracy Chevalier le ha dato il nome di Griet, un’adolescente di bassa estrazione che viene assunta come domestica proprio nella casa del famoso pittore. Qui, però, non avrà vita facile: deve fare i conti con una suocera scaltra, una moglie gelosa e sei figli viziati. Come se non bastasse, pare che tra lei e Johannes nasca una certa complicità, come se lei fosse l’unica in grado di capire il suo senso artistico.

Chiaramente si tratta di una storia inventata, ma l’autrice è stata capace di descrivere con sapienza il contesto storico, catapultandoci in un’epoca dove la divisione delle classi sociali era molto evidente e una ragazza così giovane, a maggior ragione se di bell’aspetto, poteva solo sperare di trovare un buon partito, prima che qualche marpione potesse rovinarla per sempre.

Griet, nonostante la sua età, si dimostra comunque molto astuta e non si fa mettere i piedi in testa da nessuno: è lei che prende le decisioni più giuste per sé stessa, salvandosi in curva con le sue sole forze. L’innocenza del volto è tutta apparenza, quindi: dietro quello sguardo, c’è molto di più, una sorta di potere seduttivo celato con sapienza.

Conservo davvero un piacevole ricordo di questo romanzo, ecco perché ve lo consiglio. Voto 4/5.

Ah, ho visto anche il film, ovviamente. Colin Firfth neanche lo commento perché il ruolo era semplicemente perfetto per lui! La Johansson, o meglio, la sua doppiatrice, mi ha fatto venire l’ansia con tutti quei sospiri inutili. In pratica il suo copione per il 70% era costituito dal respiro ansimante, giusto per rendere la scena carica di tensione. L’ANSIA PROPRIO!

“La vita è una cosa assurda. Ma se si vive abbastanza a lungo, non ci si sorprende di nulla.” La Ragazza con l’Orecchino di Perla, T. Chevalier

La sovrana lettrice – A. Bennet

Diversi anni fa scoprii che due ragazze, di cui non ricordo minimamente il nome, offrivano consigli di lettura sulla base della propria presentazione personale, da inviare via mail. Mi ricordo che ne fui entusiasta, perciò scrissi come mi vedevo caratterialmente (quanto potevo essere attendibile?) e i miei gusti personali.

Nel remoto caso in cui interessasse a qualcuno, a parte mia madre, mi ero descritta come una persona estroversa, che ama ridere e scherzare, chiacchierare con le persone e conoscere nuove cose. Allo stesso tempo sono una gran sognatrice.

Non mi ricordo se ho menzionato i miei clamorosi difetti, come il fatto di essere lunatica e permalosa, ma dopo diversi giorni ho ricevuto la mail di risposta dove mi veniva consigliato di leggere La Sovrana Lettrice di Alan Bennet.

Un romanzo celebre, che ho tenuto vergognosamente relegato nella wishlist di Amazon per anni insieme ad altri prodotti, quali vestiti che forse non sto indossando nemmeno in un universo parallelo e qualche attrezzo da lavoro, forse inseriti da mio marito in attesa che gli dia il permesso di acquistarli 😛

Insomma, alla fine mi sono decisa: adesso basta! Lo compro e lo leggo! Sono solo un centinaio di pagine e poi voglio vedere se è azzeccato alla mia personalità.

In breve, la regina d’Inghilterra scopre per caso il piacere della lettura, ma poiché ad un certo punto non riesce più a farne a meno, questa passione avrà delle ripercussioni sul suo entourage, sui sudditi e sui servizi di sicurezza.

Una lettura molto leggera, che si termina in un pomeriggio, magari sorseggiando una tazza di tè con dei biscotti, giusto per farsi coinvolgere maggiormente dal clima della storia.

La copia che ho acquistato io è della Adeplhi, una CE che evidentemente possiede un altissimo senso dell’umorismo rispetto al mio, dato che in quarta di copertina scrive “irrefrenabili risate”.

Voglio dire, qualche sorriso sicuramente può strapparlo, magari leggendo le battute taglienti che la Regina rivolge al Primo Ministro, oppure i commenti del Duca, ma da lì a ridere sguaiatamente ce ne passa…!

Le “irrefrenabili risate” con il tè

Se vogliamo, fa già sorridere la quarta, appunto, sia per l’iperbole riferita al senso dell’umorismo, sia perché ti spoilera già che il colpo di scena è nell’ultima riga. Come per dire: “Oh, non solo ti spacchi in due, ma proprio non ti immagini cosa succede nell’ultima riga di questo libro!”. Perciò tu stai lì a farti cullare dal ritmo quasi monotono e ripetitivo di Bennet, a volte riaprendo gli occhi per una battuta, e poi sul finale ti svegli di soprassalto: “C…cosa?! Che è successo?!”. L’ultima frase l’ho riletta due volte perché mi ha dato più emozioni di tutto il libro.

Dai, scherzi a parte, non è poi così male se si desidera una lettura leggera, poco impegnativa e con una spolverata di humor inglese.

Consigliato? Mmmh…forse. Aspetta che rileggo l’ultima frase del libro…

Voto 2.5/5.

“[…] ragguagliare non è leggere. Anzi, è l’esatto contrario. Il ragguaglio è succinto, concreto e pertinente. La lettura è disordinata, dispersiva e sempre invitante. Il ragguaglio esaurisce la questione, la lettura la apre.” La Sovrana Lettrice, A. Bennett

E l’eco (del commerciale) rispose – K. Hosseini

La mia idea era quella di far uscire un articolo su un best seller a fine gennaio, ma altri impegni e la lettura stessa, hanno tardato i miei buoni propositi. Francamente con Hosseini pensavo di andare sul sicuro e, invece, mi sono ricreduta.

Terzo romanzo del celeberrimo Khaled Hosseini, la quarta pagina di copertina de E l’eco rispose ci fornisce le premesse per un romanzo destinato a donarci forti emozioni: un padre e i suoi due figli sono in viaggio verso Kabul, partendo dal loro piccolo villaggio povero Shadbagh. Sul loro carretto rosso Sabur, il padre, ha caricato Pari, la figlia di tre anni. Invano ha cercato di rimandare a casa il figlio Abdullah. Il ragazzino ha deciso che li accompagnerà a Kabul e niente potrà fargli cambiare idea: il legame tra i due fratelli è troppo forte. C’è qualcosa che lo turba per tutto il viaggio e, quando giungono a destinazione, un avvenimento cambia le loro vite per sempre.

Mi ricordo che diversi anni fa, pochi mesi dopo la sua uscita, avevo chiesto a mia zia cosa ne pensasse al riguardo. La sua risposta è stata una smorfia di disgusto prima di esprimere la sua delusione. Lì per lì ho sperato che fosse solo una sua impressione, forse un po’ esagerata, per questo ho deciso di comprare il romanzo appena trovato in offerta. Dopo Mille Splendidi Soli, che per altro ho già recensito, ero carica di aspettative. Ma quando sono arrivata all’ultima pagina, ho chiuso il manoscritto con un enorme “Bah…”. Per me le premesse c’erano tutte, ma lo sviluppo della storia è stato talmente tanto prolisso e intricato, da creare solo confusione. I primi capitoli, infatti, mi hanno tenuta incollata alle pagine con il fiato sospeso, poi però hanno iniziato a inserirsi personaggi di contorno con i loro punti di vista e storie personali. Ha fatto un giro talmente largo che quando sono arrivata al gran finale, ero così snervata dalla noia, che non mi ha suscitato nemmeno chissà che emozioni. Inoltre, i numerosi flashback che sopraggiungono uno dietro l’altro, non fanno altro che rendere ancora più confusionario il quadro generale della narrazione.

ATTENZIONE SPOILER!!!!! La mia delusione è data dal fatto che sembra abbia inserito degli episodi inutili giusto per aumentare il numero delle pagine. È stato come leggere parti di altri romanzi dentro ad uno solo: ad un certo punto parla lo zio Nabi in prima persona, dilungandosi fino alla noia. Mi immagino il dott. Varvaris che legge sta lettera infinita e si addormenta di tanto in tanto perdendosi in logorroici discorsi su come trascorrevano le giornate il signor Wadhati o Nabi stesso. Come se non bastasse si aggiunge la storia di Idris e Timur che leggi fino alla fine sperando di capirne il nesso e invece no: finisce solo con la migliore figura di cioccolata che abbia mai letto in un libro e poi personaggi spariti nel nulla. Ciliegina sulla torta, il lunghissimo excursus sulla vita del chirurgo Markos Varvaris, con una memoria peggio degli elefanti, dato che si ricorda dialoghi inutili risalenti alla sua infanzia avvenuta decenni prima, che comunque non porta a niente perché già sai che ha chiamato Pari per leggerle la lettera dello zio Nabi. Anche qui ti viene da dire “Embé?”. Mentre Markos racconta si inseriscono episodi a caso della sua vita dove non si sa dove sia stato e quando, ma ha conosciuto gente e ha visto cose che voi umani…Che poi sono anche storie interessanti, ma forse per altri libri, perché qui volevo sapere solo dei due fratelli, anzi tre se ci aggiungiamo il fratellastro Iqbal. Per assurdo di Abdullah non sappiamo quasi niente: solo informazioni generiche date dalla figlia. Ma almeno lui che si ricordava della sorella, non poteva fare un tentativo per cercarla? Lo zio è morto pure tardi! Per rendere il tutto più drammatico lo rivediamo solo alla fine, ormai in piena demenza senile, forse Alzheimer, che non riconosce più nemmeno la sorella. Poteva essere un finale struggente, ma l’intero libro non mi ha fatto affezionare abbastanza ai protagonisti: troppo occupata a capire il nesso logico per la presenza di tutte le altre storie. Come se scrivessi la biografia di, che so, Jane Austen e dedico centinaia di pagine alla vita del lattaio e del tizio che ha venduto i maiali al padre. Ma perché?

Voto 2/5

“Imparai che il mondo non vede la tua anima, non gliene importa un accidente delle speranze, dei sogni e dei dolori che si nascondono oltre la pelle e le ossa. Era così: semplice, assurdo e crudele.” E l’eco rispose, K. Hosseini

Grandi classici: Il Buio Oltre la Siepe

Per quanto ami leggere da una vita, mi sono resa conto che sono molto carente per quanto riguarda i grandi classici della letteratura, quelli che hanno fatto un successo strepitoso che perdura nel tempo. Molti di questi autori sono studiati anche nelle scuole italiane, ma devo ammettere che finché ero una studentessa, non ero in grado di apprezzarne la qualità. Forse, essendo alcuni titoli imposti, li trovavo noiosi a prescindere.

Ad ogni modo, Il Buio Oltre la Siepe di Harper Lee è un recente acquisto, spinta dalla curiosità, dato che per anni l’ho ignorato ingiustamente insieme ad altri autori. Per chi non lo conoscesse, la storia è ambientata a Maycomb, una cittadina del Sud degli Stati Uniti, dove vivono la piccola Scout, suo fratello Jem e suo padre Atticus insieme alla domestica Calpurnia. Atticus è un avvocato onesto che viene incaricato della difesa d’ufficio di un afroamericano accusato di violenza carnale. La vicenda, che costituisce la parte più celebre del romanzo, viene raccontata dal punto di vista della figlia.

Che dire? Vi aspetterete che ora inizi a tessere le lodi di questo libro. E invece, no! Mi spiego: quando ho iniziato questa lettura ero carica di aspettative, perché per quanto non l’avessi mai preso in considerazione, è cosa risaputa che abbia riscosso uno strepitoso successo fin dal premio Pulitzer del 1960, dato che tocca temi importanti e sempre attuali come il razzismo, l’ingiustizia, l’ignoranza,..). Sinceramente sono rimasta parecchio delusa, e vi spiego il motivo. Per gran parte del romanzo viviamo le esperienze dei figli di Atticus, attraverso noiosissimi intrecci che non portano da nessuna parte. Ogni volta che l’autrice si apprestava a raccontare un altro episodio della loro vita, mi chiedevo dove volesse andare a parare. Invece non succede nulla fino a quando non si arriva a 2/3 della storia. Fino ad allora dovrete sorbirvi dettagli minuziosi su come passavano le giornate Scout e Jem, fra scuola, giochi, dispetti, dialoghi con vicini di casa…e per inciso, quella bambina l’ho trovata semplicemente maleducata e antipatica. La nota accattivante iniziale è data solo dal mistero della casa dei Radley, nella quale si dice viva nascosto il sig. Arthur/Boo ormai da molti anni. Il processo al giovane afroamericano che ha reso celebre il libro, diventa così un avvenimento marginale rispetto a tutto il resto. Fra l’altro trattato sempre concentrando l’attenzione su Scout invece che sulla vicenda in sé. Quindi si ha come l’impressione che avvenga tutto troppo in fretta per riuscire a realizzarlo. Una scelta stilistica che ho trovato ingiusta: in fin dei conti la prima parte del romanzo poteva essere riassunta in pochi capitoli, a favore di argomenti ben più importanti. Mi sarebbe piaciuto un approfondimento sulla vita degli afroamericani in quel contesto, per esempio, magari concentrandosi su Tom e la sua famiglia. Che fine hanno fatto poi i numerosi Ewell?

La cosa incomprensibile, per altro, è il riassunto in quarta pagina che parla solo della difesa di Atticus nei confronti di Tom Robinson, spoilerando che muore nonostante sia innocente. Okay, il libro è famoso per questo, ma è solo una minima parte rispetto al logorroico contorno costruito dalla Lee. Per me è stato come dover apprezzare un quadro piccolissimo, ma significativo ed emozionante all’interno di una cornice imponente scialba e insignificante…Voto 2.5/5.

Grazie per la lettura 🙂

Julia Volta

“C’è qualcosa nel nostro mondo che fa perdere la testa alla gente: non riescono ad essere giusti neanche quando lo vogliono.” Il Buio Oltre la Siepe, H. Lee

Grandi classici: Persuasione

Sono passati diversi anni ormai, da quando ho divorato con una certa avidità opere che ho considerato magnifiche, intitolate Orgoglio e Pregiudizio/ Ragione e Sentimento. Grazie ad un’offerta occasionale sui Best Sellers, mi sono reimbattuta in Jane Austen con un titolo che non conoscevo, ovvero Persuasione.

Si tratta di un romanzo scritto nella piena maturità letteraria della scrittrice, dove come sempre compare, attraverso intrecci amorosi, una deliziosa satira dell’Inghilterra della prima metà dell’800. Le vicende ruotano intorno agli aristocratici Elliot, con a capo sir Walter, vedovo egocentrico e vanitoso, avente tre figlie: Elizabeth, la maggiore, la sua copia spiccicata al femminile e per questo motivo la sua preferita, Anne la mezzana, dolce come la madre ma tanto introversa da passare inosservata e, infine, Mary la capricciosa, unita in matrimonio con Charles Musgrove. Poiché ormai le ragazze non possono più contare su una figura materna, l’educazione di Anne in particolare viene affidata a Lady Russell, cara amica della defunta. Quest’ultima considera Anne come una figlia e, quando viene a sapere che la ragazza si è innamorata di un ufficiale di Marina, la persuade a rompere il fidanzamento in quanto lo considera poco vantaggioso. Otto anni dopo la fanciulla, amaramente pentita di aver dato ascolto alla sua tutrice, rincontra il suo primo amore, che nel frattempo è diventato colonnello dopo una carriera fortuita. Riuscirà a riconquistare ciò che si era lasciata alle spalle?

Devo essere sincera: per me scegliere di leggere Jane Austen vuol dire andare sul sicuro e certamente non è un caso se si tratta di una delle maggiori figure di spicco nella narrativa inglese. Dopo qualche lettura deludente, avevo proprio bisogno di “rifarmi gli occhi”. Devo, tuttavia, precisare che non mi ricordavo che il ritmo dei suoi romanzi procedesse tanto a rilento o forse è la protagonista che non mi ha fatto entusiasmare. Sì perché, lontana anni luce dalla vivace Elizabeth di Orgoglio e Pregiudizio, Anne mi è sembrata più vicina al personaggio di Jane, con una personalità all’inizio molto più spenta. In 2/3 del romanzo ho trovato il suo atteggiamento insopportabile: semplicemente un’ameba. Nella trama in quarta pagina dice che “decide di giocarsi ogni possibilità” per conquistare il suo amato. E che strategia avrebbe adottato? Quella di appostarsi nascosta sotto la sabbia per attaccare nel caso in cui il colonnello Wentworth fosse PER CASO passato vicino a lei? No, perché la tattica non stava funzionando molto, tanto che lui all’inizio sembra addirittura provarci con un’altra. E non è finita! Questa ragazza ha la straordinaria capacità di farsi film mentali dal più piccolo gesto di attenzione, che sia una fugace occhiata o un sospiro di troppo, ma non capisce che un gentiluomo (di cui non dirò il nome per non spoilerare troppo) ci prova con lei da almeno due settimane. Alla fine del romanzo Anne finalmente sembra abbia deciso di tirare fuori il carattere, arrivando a fare ragionamenti del tipo “ah ma io lo sapevo che questo qui era una brutta perzona! Sì, sì!”. Certo e fino al giorno prima il soggetto in questione lo considerava una piacevolissima compagnia.

Scherzi a parte, al di là della descrizione ironica della protagonista, penso che l’illusione della lentezza del ritmo sia data solo dal suo carattere. In alcuni momenti sembra quasi che la storia raggiunga una sorta di stallo rallentando fino alla noia (più volte mi sono addormentata dopo 10 pagine di lettura). Ma il bello della Austen è che il meglio lo serba per il finale, perciò vale la pena continuare per sapere come finiscono i personaggi. Senza contare che abbiamo un soggetto diverso dalle sognanti giovincelle dei romanzi precedenti. Qui c’è una donna adulta di 27 anni, vista quasi al pari di una zitella (considerate che già ai tempi di mia nonna era considerato tardivo sposarsi dopo i 22/23 anni), che ha dovuto fare i conti con le conseguenze di scelte dettate dalla logica nella conservazione del prestigio sociale. E’ meglio vivere una vita modesta con l’uomo che si ama o scegliere un buon partito per accedere a maggiori privilegi? Se per noi la risposta è abbastanza scontata, non lo era per le donne di quell’epoca. Nei romanzi precedenti giovani protagoniste hanno la fortuna di contrarre matrimoni più che vantaggiosi per se stesse, pur non avendoli richiesti proprio per i soldi. Qui Anne si pente della propria scelta praticamente subito, nonostante Wentworth fosse ancora un signor nessuno. Anche se comunque per me rimane sempre il dubbio: si sarebbe fatta il sangue tanto amaro se lui non fosse tornato con più soldi di suo padre e una carriera coi fiocchi? Voto 4/5.

Grazie per la lettura 🙂

Julia Volta

“Uno spirito remissivo può essere paziente; una mente acuta può fornire risolutezza; ma in questo caso c’era qualcos’altro: c’era quell’elasticità mentale, quella tendenza a sapersi consolare, quella capacità di passare prontamente dal male al bene e di trovare occupazioni tali da distrarla dai suoi problemi, che poteva essere solo un dono di natura.” Persuasione, J. Austen

Qualcuno con cui correre – D. Grossman

Il best seller di questo mese è un libro che risale al primo biennio di Liceo, assegnato da una professoressa che, in generale, aveva pessimi gusti in termini di lettura. Questa volta però, ci aveva azzeccato e questo compito non era stato poi così male, come temevo. Si tratta di Qualcuno con cui Correre di David Grossman, romanzo celebre dal quale è stato tratto un film omonimo nel 2006 (regista Oded Davidoff).

Il protagonista è Assaf, un sedicenne timido e impacciato a cui viene affidato il compito di ritrovare il proprietario di un cane abbandonato, seguendolo per le vie di Gerusalemme. Correndo dietro all’animale, il ragazzo giunge in luoghi impensati, conoscendo strani e inquietanti personaggi. E a poco a poco ricompone i tasselli di un drammatico puzzle: la storia di Tamar, una ragazza solitaria e ribelle fuggita di casa per salvare il fratello tossicodipendente, finito nella rete di una banda di malfattori. E’ la svolta nella vita di Assaf, che decide di andare fino in fondo per conoscere questa misteriosa eroina.

Ho trovato questo romanzo piacevole, prima di tutto perché i protagonisti sono degli adolescenti ai quali la gente adulta non darebbe due lire. Assaf è fin troppo introverso e nessuno si immagina che la piccola Tamar sia in grado di affrontare il mondo esterno da sola per riprendersi il fratello. Insomma una storia che rende omaggio alla tenacia che possono avere i più giovani, vicende eroiche dei giorni nostri in realtà difficili, lontane dalle tresche amorose alla Gossip Girl. Anche i sentimenti vengono affrontati con una leggerezza disarmante, appena pizzicati come le note di una chitarra, ma capaci di produrre una musica fantastica. Per me merita eccome, con un 4.5/5. Non mi è piaciuto molto il film, invece. Forse perché i personaggi me li ero immaginati diversi e l’ho visto dopo aver letto il libro, o forse perché la tenerezza che traspariva nello scritto, sembrava un po’ persa per strada. Andrebbe visto per curiosità, secondo me.

ATTENZIONE: SPOILER IN QUESTO PARAGRAFO!!!!! Come dicevo, Grossman affronta con delicatezza i sentimenti che legano le persone nel corso di queste avventure. Un timido adolescente cerca per giorni una ragazza sconosciuta, scoprendo di provare dei sentimenti per lei man mano che scopre nuove cose sul suo conto. Se vogliamo Tamar è il suo esatto opposto, il rovescio della medaglia, a cui lui si è sentito attratto inconsciamente, grazie all’espediente della cagnolina Dinka, che fa da legante fra i due. Quando alla fine la trova, in una specie di nascondiglio segreto, non ci pensa su due volte ad aiutarla nel gestire il fratello Shay appena salvato dai malfattori, ma in piena crisi di astinenza. In questa storia sono rimasta particolarmente colpita da due cose: la prima è la morte dell’amica Shelly. Un personaggio problematico, rimasto solo fino alla fine, nonostante per un attimo ci abbia fatto credere ad un barlume di speranza per la sua uscita dal tunnel degli orrori. Shelly viene ingoiata dal suo stesso vizio e caos di vita, e l’unica cosa a rendergli omaggio è una “serata pizza” nel lager dove viveva da tempo. Un’altro punto che mi ha colpito, ma nel senso che non mi è piaciuto, è la fine di Teodora, una sorta di monaca di clausura che ad un certo punto, verso la fine, trova il coraggio di uscire dai confini del suo alloggio e vedere il mondo con i propri occhi. Una signora anziana con una fitta corrispondenza, che Facebook levati proprio, ma che vive reclusa da decenni. Mi sarebbe piaciuto sapere che fine abbia fatto, una volta varcata la soglia, ma non ci è dato saperlo. Adesso che ci penso, la descrizione del suo modo di vivere, sembra un po’ una metafora di questa generazione: giovani che hanno vita sociale solo virtualmente, ma fuori di casa vivono poco e niente. Ma mi rendo conto che forse sto vaneggiando un po’ troppo…

Vi ringrazio per aver letto l’articolo, vi auguro una buona lettura del libro 🙂

“Allora lei cantò. Così, su due piedi. I’m not your baby di Sinead O’Connor. Non avrebbe potuto scegliere canzone peggiore ma le sgorgò da dentro come un urlo, incontrollato. Forse perché lui l’aveva chiamata ‘piccola’ con tale disprezzo.” D. Grossman, Qualcuno con cui Correre

Gomorra – R. Saviano

Apriamo questo mese con un libro rimasto in vetta alle classifiche dei best sellers per diverse settimane, vendendo, ad oggi, circa 10 milioni di copie in tutto il mondo. Non si tratta di una storia, ma di una denuncia vera e propria nei confronti di un mondo oscuro che si cela dietro la parola “mafia” intesa in senso generale. Sto parlando di Gomorra, scritto da Roberto Saviano.

“Il libro racconta il potere della Camorra, la sua affermazione economica e finanziaria e la sua potenza militare, la sua metamorfosi in comitato d’affari. Una scrittura in prima persona fatta dal luogo degli agguati, nei negozi e nelle fabbriche dei clan, raccogliendo testimonianze e leggende. La storia parte dalla guerra di Secondigliano, dall’ascesa del gruppo Di Lauro al conflitto interno che ha generato 80 morti in poco più di un mese. Una narrazione-reportage che svela i misteri del “Sistema” (così gli affiliati parlano della camorra, termine che nessuno più usa), di un’organizzazione poco conosciuta, creduta sconfitta e che nel silenzio è diventata potentissima superando Cosa Nostra per numero di affiliati e giro d’affari.” da Amazon

Se ci si aggira per i siti di compravendita dei libri, senz’altro noterete che le recensioni sono per la maggior parte entusiaste e non è certo un caso se ha fatto tanto successo anche all’estero. Da questa opera è stato addirittura tratto un film omonimo e una serie TV diventata molto popolare. Io vi dico sinceramente, che il libro non mi è piaciuto e, senza troppi giri di parole, il mio voto sarebbe 3 su 5 e spiego subito il perché.

Prima di ogni cosa, ci tengo a dire che ho apprezzato moltissimo il coraggio dell’autore nel voler affrontare una tematica così delicata che riguarda praticamente tutti, perché la Camorra non è certo una leggenda o un prodotto della fantascienza, ma si tratta di un sistema losco che opera di nascosto, prendendo radici nell’oscurità come un cancro sociale. Nessuno vuole parlarne oppure vuole ammettere il suo potere. Grazie a questo libro, guarderete molti aspetti della società in maniera differente: il mercato economico, la politica, la moda, persino Hollywood! Ciò che davvero ho trovato fastidioso è il modo in cui questi temi vengono trattati: una serie di episodi senza un nesso logico, un monologo filosofico lunghissimo nel quale si intrecciano il senso critico dell’autore con episodi reali tratti da atti processuali e indagini di polizia. Ciò che mi ricordo di questo libro sono sequenze sporadiche di argomenti diversi e non perché l’abbia letto diversi anni fa, ma già ai tempi ho fatto davvero fatica a finirlo. Avrei preferito una descrizione più giornalistica delle vicende, un occhio super partes con un inizio e una fine per ogni argomento, magari trattarne uno solo per capitolo, ma in maniera lineare e ordinata. Invece mi è sembrata una successione confusa “di cose”, sicuramente interessante e utile per capire, ma alla fine cosa rimane? Ho avuto come l’impressione che Saviano volesse esprimere tutto ciò che sapeva tutto d’un fiato, una miriade di informazioni senz’altro fondamentali, ma buttate giù prima che potessero acquisire un ordine.

Mi rendo conto che la mia critica riguarda solo la forma, per questo non mi sento di biasimare la popolarità che ne è conseguita dalla sua pubblicazione. Si tratta comunque di uno schiaffo in piena faccia per chiunque abbia ancora le fette di salame incollate sugli occhi. Ma io quando recensisco un libro, amo considerarlo sotto ogni suo aspetto e per me anche la forma ha la sua importanza, perché ritengo che, per quanto sia utile e importante ciò che hai da trasmettere, se lo fai in maniera “non ottimale” alla fine una parte si perde. In ogni caso lo consiglio, perché scritto bene o meno, tutti DEVONO SAPERE.

Vi ringrazio per aver letto l’articolo, vi auguro una buona lettura del libro 🙂

“C’è chi comanda le parole e chi comanda le cose. Tu devi capire chi comanda le cose, e fingere di credere a chi comanda le parole. Comanda veramente solo chi comanda le cose.” Gomorra, R. Saviano