Non dirmi bugie – R. Olsen

Oggi vi racconto di un romanzo che ho acquistato grazie alle offerte della Newton Compton nella sezione thriller, intitolato Non dirmi bugie, di Rena Olsen.

Ecco la trama: Clara sta spazzolando i capelli alla figlia, quando all’improvviso degli agenti fanno irruzione in casa per arrestare il marito Glen. Prima di andare via lui la intima di non dire niente e lei ubbidisce senza remore. Giunta in questura, però, le persone la chiamano Diana e accusano il marito di crimini atroci. Con molta fatica e remando contro la rigida educazione con la quale è cresciuta, sarà costretta a mettere in discussione la realtà perfetta che credeva di aver vissuto fino a quel momento.

Ci sarebbero diverse cose di cui parlare prendendo in considerazione il romanzo, ma comincio da quelle semplici: per esempio il genere, considerato thriller, ma che in realtà non lo sembra affatto, prima di tutto perché sappiamo già la verità entro le prime decine di pagine. In secondo luogo, i colpi di scena sono quasi inesistenti perché la trama è davvero prevedibile, lasciando pochissimo spazio all’immaginazione.

In sostanza, il fulcro del romanzo è la lotta interiore di Clara contro il lavaggio del cervello che le è stato imposto fin da bambina. Non è facile per lei fare i conti con la realtà dei fatti ed accettare di aver sposato un mostro. Peggio ancora, rendersi conto di esserne stata complice, in un certo senso.

Per come è strutturato il romanzo, a parer mio questo percorso è reso discretamente, anche attraverso continui salti temporali con flashback a random, che comunque non è difficile collocare all’interno di una linea temporale di eventi.

Eppure, ci sono elementi che mi hanno fatto storcere il naso, primo fra tutti la noia del racconto: quando gli eventi diventano prevedibili e i fatti raccontati si ripetono, oltre 300 pagine diventano troppe. Per altro il tono melenso con cui Clara descrive il suo amore per quel mostro di Glen mi ha suscitato solo irritazione.

C’è anche un dilemma etico dietro a tutta questa storia: Clara è una vittima a tutti gli effetti o è solo un’altra carnefice? Bella domanda. Ho avuto come l’impressione che l’autrice volesse creare delle sfumature fra il bene e il male: non esiste l’assoluto, perché tutti appartengono a quell’alone grigiastro in grado di trovare sempre una giustificazione alle proprie azioni, che sia un passato traumatico o l’istinto di sopravvivenza.

Dal canto mio, non ho mai sopportato del tutto questo pensiero. È vero che dietro ad ogni azione, giusta o sbagliata che sia, c’è sempre una ragione. Ma non si può dire “eh poverino, ha avuto un’infanzia difficile, quindi ci sta che poi sia diventato un criminale”. Troppo facile così.

Per altro, non sono riuscita nemmeno a simpatizzare con il personaggio di Clara, trovandolo ipocrita in determinati frangenti, se non contraddittorio. A volte sembrava cosciente della fine che andavano a fare le bambine che formava, tanto da opporsi quando venivano scelte quelle troppo piccole, in altri quasi cadeva dal pero sulla cattiveria del marito, come se ci fosse un modo buono di trattare il traffico di esseri umani. Francamente non mi è sembrata tanto migliore di Glen, solo più furba, tutto qua. L’amaro in bocca mi è rimasto per tutte le vittime di tale sistema tanto marcio, che purtroppo non sono state più ritrovate o salvate.

Voto 3/5

Julia

Le ragazze senza nome – M. H. Kelly

Concludiamo il mese di ottobre con una lettura un po’ impegnativa, un romanzo d’esordio basato sulla storia vera di un’eroina della Seconda Guerra Mondiale. Si tratta de Le Ragazze senza Nome di Martha Hall Kelly.

Le protagoniste sono tre. La prima è l’americana Caroline Ferriday, realmente esistita e dalla quale è partita l’idea del libro, una donna ricca che lavora al consolato francese che conduce una vita apparentemente perfetta con un amore all’orizzonte e una carriera in ascesa. La seconda è Kasia Kuzmerick, un’adolescente polacca che rischia la vita proprio mentre cerca di eseguire missioni segrete per il movimento di resistenza, durante l’occupazione tedesca. Infine, Herta Oberheuser, una giovane e ambiziosa dottoressa tedesca che fatica a trovare un posto nella società ed uscire dalla desolazione in cui si trova. Quando riceve un annuncio per una posizione di medico al servizio del governo, decide di accettare, ma una volta assunta, si trova intrappolata in un giro di segreti e potere, dominato dagli uomini al servizio del Reich. Apparentemente queste tre donne non hanno assolutamente nulla in comune, ma i loro destini si incrociano quando Kasia viene deportata a Ravensbruck, il famigerato campo di concentramento nazista per sole donne.

Di questo romanzo ho apprezzato moltissimo il duro lavoro di ricerca che c’è stato come background prima della stesura. La scrittrice, come dichiara lei stessa alla fine del manoscritto, si è recata nei luoghi interessati dalla storia, si è documentata sulle vite dei personaggi leggendo persino la corrispondenza privata, ha ascoltato numerose testimonianze dell’epoca, ha letto diversi articoli, ecc…mettendo insieme i dati ricavati ha voluto romanzare una parte di quell’oscuro capitolo della storia del XX secolo dando voce a delle donne che per anni hanno vissuto nell’indifferenza, rendendo anche omaggio ad un’eroina che negli anni ha impegnato tutta sé stessa nell’aiuto verso le meno fortunate. Inoltre, è la prima volta che mi capita di leggere dell’Olocausto dal punto di vista di una nazista, cercando di entrare nella sua psiche e di rendere un po’ più umano un personaggio che per quanto ne sappiamo, accostarlo a qualcosa di bestiale sarebbe un complimento. In tutto ciò, per quanto nel complesso abbia apprezzato l’opera, alcune note le ho trovate stonate, alcune delle quali tratterò nel prossimo paragrafo. Comunque ci tengo a precisare che, secondo me, sul finale la storia diventa fin troppo prolissa: sembra che, volendo raccontare in maniera esaustiva ciò che di straordinario ha fatto Caroline, le vicende di Kasia siano state tirate molto per i capelli. Le ultime 100 pagine almeno, potevano essere riassunte in un paio di capitoli, come per dire “Ecco che fine hanno fatto queste persone”. Voto 3.5 su 5.

ATTENZIONE: SPOILER IN QUESTO PARAGRAFO!!! Come ho già accennato, per quanto sia un libro che vale la pena leggere, ci sono delle parti che ho apprezzato meno. Prima di tutto mi è sembrata piuttosto evidente la discrepanza fra le storie reali e quelle inventate, dal momento che queste ultime contenevano a volte dei buchi di trama, rendendo alcuni aspetti davvero poco chiari. Faccio degli esempi, per capirci meglio. Quando entra nel campo di concentramento, Herta sembra così sconvolta nell’apprendere ciò che succede che decide di partire il giorno dopo, ma alla fine rimane. Successivamente diventa una persona ambigua, a tratti ancora più egoista, fredda e calcolatrice e nello stesso tempo quasi buona nei confronti di Halina, come se stessimo descrivendo due personaggi diversi. Perché? Il libro giustifica il cambiamento dicendo che le serviva lo stipendio per mantenere le cure della madre; inoltre, ad un certo punto si sente tradita dalla sua stessa brillante infermiera. Non mi ha convinto sinceramente. Altra questione, non ha molto senso il modo in cui Caroline decide di scaricare Paul senza ascoltare minimamente ciò che ha da dirle, non si concede nemmeno il beneficio del dubbio, anche quando capisce che la moglie Reena ormai l’ha lasciato. Anche qui, non ha nessun senso a parer mio e difatti è una parte aggiunta dalla scrittrice. Poi, la personalità di Kasia che anche a quasi quarant’anni sembra comportarsi come un’adolescente arrabbiata, apparendo persino ridicola e irritante, ben diversa da quella che era nel campo di concentramento. Possibile che dopo quella esperienza sia tornata esattamente com’era prima di partire? Difatti anche il suo personaggio, per quanto sia ispirato ad una deportata reale, comunque è inventato. Infine, discrepanze a parte, vorrei far luce su un filo conduttore molto sottile, fra i tanti, che vuole affrontare anche un tema molto delicato per una donna, anche se non sono sicura che sia voluto dalla stessa autrice. Più volte viene affrontato il discorso della maternità in chiavi diverse, come sentirsi realizzate, senso del dovere, portatrice di speranza, ma in ogni caso la morale è sempre la stessa: non basta mettere al mondo un figlio per risolvere i propri problemi e sentirsi felici, come fosse una toppa sulla propria insoddisfazione. Può essere uno dei traguardi al limite, non un mezzo per raggiungerli.

Vi ringrazio per aver letto l’articolo, vi auguro una buona lettura del libro 🙂

“Ben presto imparammo che a Ravensbruck la sopravvivenza ruotava intorno alla gavetta di stagno, alla tazza e al cucchiaio, nonché all’abilità di tenerli al sicuro. Se li si perdeva di vista anche solo per un istante rischiavano di sparire per sempre. Perciò li tenevamo sempre dentro l’uniforme, oppure appesi alla vita, se si aveva la fortuna di trovare un pezzo di corda o di spago da trasformare in una cintura.” Le Ragazze senza Nome, M. H. Kelly

La separazione – D. Jefferies

Torniamo un attimo sul discorso del té questo mese, per dare uno sguardo ad un libro che secondo me ha fatto un pochino la differenza, anche se ancora non è chiaro se in positivo o negativo. Non la solita storia della fanciulla ingenua, che reprime ogni sofferenza per fare un favore agli altri, ma una madre che lotta per riprendere le sue figlie. Si tratta del romanzo La Separazione di Dinah Jefferies.

Ci troviamo in Malesia, nel 1955 e la famiglia Cartwright sta facendo le valige per partire da Malacca. Emma, che all’epoca ha 11 anni, e la sorellina Fleur, chiedono al padre come mai non stiano aspettando il ritorno a casa della madre, ma lui non risponde e in maniera brusca e frettolosa, le invita ad obbedire. Quando la moglie Lydia torna da una visita all’amica malata, non trova nessuna traccia delle figlie, del marito o della servitù. Sulla base di qualche informazione che riesce a ricavare, parte per un lungo viaggio pericoloso all’interno di un Paese dilaniato dalle guerre civili e lotte intestine, per scoprire dove sia finita la sua famiglia.

Tutto sommato si tratta di un romanzo piacevole, anche se a tratti parecchio irritante, a causa delle dinamiche assurde che si creano nel corso della storia. Finale, quasi scontato ma non del tutto perché anche quello ci riserva un colpo di scena, eppure rimane nello stesso tempo un po’ sospeso, ma non dico di più. La scrittura è scorrevole, quindi è difficile metterlo da parte. Coinvolgenti le descrizioni della Malesia, messa a confronto con l’Inghilterra. Per me voto 3.5 su 5.

ATTENZIONE: SPOILER IN QUESTO PARAGRAFO!!! Ciò che ho apprezzato in questo romanzo è il fatto che la scrittrice non ci costringe a vedere la protagonista, per forza, come un’anima buona e pia, come ho notato in tanti altri dello stesso genere. Qualunque cosa facessero quelle ragazze, se ne uscivano da vittime, donne infelici che tenevano dentro sofferenze indicibili senza parlarne con nessuno, quando magari avevano fatto tutto da sole. Spesso non si facevano nemmeno rispettare, pur di non perdere l’integrità di questa assurda facciata. Qui abbiamo una madre che ha tutte le ragioni del mondo per essere disperata: non trova le sue figlie, comincia a detestare il marito e per gran parte della storia ha ragione di credere che siano addirittura morti. Ma per quanto la vita sia stata dura con lei, scopriamo che non è la solita stigmatizzata, anche lei ha i suoi scheletri nell’armadio. Insomma non è una persona perfetta, anzi, a tratti risulta perfino detestabile: una donna ha appena scoperto che le figlie le sono morte e si comporta da adolescente innamorata a casa dell’amante, diventando persino gelosa per gli oggetti femminili che trova nel suo rifugio (What??). Tutto ciò senza sentirsi comunque privata del diritto di presentarsi davanti al marito spiattellando il frutto del suo tradimento con una donna del luogo, in pratica due pessimi partner, complimentoni! Ben più tragica è stata la sorte di Emma, che ha dovuto fare i conti con un padre assente e una matrigna assurdamente ingenua, subendo degli abusi. Ma quale genitore lascia una bambina nelle mani di un perfetto sconosciuto, che per altro mostra un inquietante interesse nei confronti di tua figlia? Mah…

” «Emma, Fleur», chiamò.
«La mamma è a casa».
Lydia si affrettò a entrare per ripararsi dalla pioggia.
«Alec?», chiamò di nuovo.
«Sono tornata».
Non ci fu alcuna risposta.” La Separazione, D. Jefferies

La ragazza della neve – P. Jenoff

Come primo articolo vorrei parlare di una lettura recentissima, scelta da mio marito durante un giro in libreria. E’ vero che è sbagliato giudicare un libro dalla copertina, ma ce ne sono alcuni che ti attirano per una qualche strana ragione. Come se avessero una freccia sopra e ci invitassero a prenderli. Non so come fate voi, ma io di solito quando adocchio un libro eseguo sempre le stesse azioni come fossero rituali: prima esamino la copertina, poi leggo il riassunto che nel 95% delle volte dimentico anche nel corso della lettura dello stesso libro, infine, lo apro e leggo qualche riga in una pagina casuale. Non so perché lo faccio, ma solo quando un manoscritto mi attira anche per come è scritto allora decido di prenderlo. Ad ogni modo, ora passo al libro in questione.

Si intitola La Ragazza della Neve (titolo originale The Orphan’s Tale), scritto da Pam Jenoff e pubblicato in Italia nel 2018 da Newton Compton Editori. So che non è molto sconosciuto, ma mi ha stupito non averlo visto almeno fra i primi letti in Italia, mentre in America è stato un best seller.

La storia è incentrata su due donne: la sedicenne Noa cacciata di casa perché rimasta incinta dopo una notte passata con un soldato nazista, e Astrid, figlia di celebri artisti circensi che, in quanto ebrei, furono costretti a chiudere i battenti proprio mentre la donna si trovava a Berlino, sposata con un ufficiale tedesco. Noa partorisce il bambino in un rifugio per madri, ma le viene strappato dalle braccia dalle infermiere. Cacciata dal posto trova lavoro come sguattera in una stazione e, una notte, salva un bambino da un convoglio diretto ad un campo di concentramento, fuggendo nei boschi. Verrà trovata da Peter, il compagno di Astrid, che la porta al circo di Neuhoff dove le viene offerto un luogo sicuro per vivere in cambio di esibizioni sul trapezio con la stessa Astrid.

Le vicende sono narrate in terza persona, ma l’autrice sposta l’attenzione ora su una, ora sull’altra protagonista facendoci immergere nei sentimenti dei personaggi, nonché le loro angosce e paure. Il circo diventa per tutti un rifugio, una tenue speranza mentre fuori imperversa la guerra. Di questo romanzo ho apprezzato il racconto da un punto di vista differente di un fatto atroce affrontato da numerosi altri scrittori. I rapporti dei diversi personaggi si evolvono col tempo e vediamo le protagoniste maturare nel corso del racconto. Non so se sia una scelta stilistica, ma mi è dispiaciuto non aver trovato maggiori riferimenti storici rispetto all’epoca di cui si sta parlando. I fatti esterni sono appena accennati e molto generici. Forse l’autrice voleva sottolineare come ciò che accadeva nel mondo, non poteva riguardare il circo che sembra vivere come un essere a sé stante fuori dal tempo. Per queste ragioni il mio voto è 4 su 5.

Se volete acquistarlo, oltre che nelle librerie, lo trovate anche su internet a prezzi che non arrivano nemmeno a 5 euro ed è in formato rilegato. Vi lascio anche il link del sito ufficiale della scrittrice per chi volesse saperne di più anche su altri suoi titoli:

http://pamjenoff.com/index.cfm

ATTENZIONE QUESTO PARAGRAFO CONTIENE SPOILER! PASSATE OLTRE SE NON AVETE LETTO IL LIBRO! In linea di massima ho spiegato in generale cosa mi è piaciuto e cosa un po’ meno. Entrando nei dettagli, sinceramente ho trovato più reale la storia d’amore fra Astrid e Peter, due anime perse nel mare di sofferenza che si sono incontrate e restano unite, senza definire la loro relazione per paura di avere ancora qualcosa da perdere. Difatti, una volta che decidono di esporsi, la situazione precipita in maniera drammatica e questo segna per sempre Astrid che rifiuta ogni storia futura. La relazione fra Luc e Noa, invece, mi è sembrata un po’ troppo forzata, come un amore estivo travolgente che vuole illudersi di poter sopravvivere. E, ad un certo punto, quasi stavano per riuscirci se non fosse per la morte improvvisa del ragazzo. Sarò cinica, ma lui era disposto a tutto per qualcuna che conosceva appena e, forse, se n’è resa conto anche la scrittrice che ad un certo punto introduce la stessa perplessità a Noa che, comunque, che io ricordi, non approfondisce con Luc la questione. Per quanto riguarda il finale, direi che sono rimasta sorpresa: per tutto il libro ero convinta che la donna della prefazione fosse Noa, invece, si trattava di Astrid! Infatti, mentre leggevo della morte della ragazza continuavo a dirmi “Ma sicuramente si salva…certo…si salva, vero?”. Un meraviglioso inno alla sopravvivenza dall’inizio alla fine, fra gomitate, compromessi, soluzioni al limite del possibile e amori che nascono in contesti improbabili…

Vi ringrazio per la lettura 🙂

“Rimango pietrificata. Ci sono stati momenti in cui ho visto la morte da vicino – mentre partorivo e la vita sembrava fuggire via rapida dal mio corpo, oppure quando ho trovato i bambini sul treno, e ancora mentre arrancavo nella neve con Theo, pochi giorni fa. Ma ora è più reale che mai, si para davanti a me nell’abisso fra la piattaforma e il suolo.” La Ragazza della Neve, Pam Jenoff