Harry Potter e i Doni della Morte – J. K. Rowling

Per molte persone, fra cui me, il periodo autunnale/invernale può voler dire solo tre cose:

  • Copertina da divano;
  • Bevanda calda;
  • HARRY POTTER!

Anche se quest’anno il clima non sta facendo molto la sua parte: le piante sono ancora prevalentemente verdi, si sente aria di primavera e c’è gente che sta andando al mare.

Insomma, fatico a credere che tra meno di due mesi sarà già Natale.

Comunque, tralasciando il problema del cambiamento climatico, che meriterebbe lo spazio e le sedi opportune, torniamo al punto Harry Potter, perché finalmente dopo innumerevoli mesi ho finito di leggere la saga.

**Avverto che ci saranno delle anticipazioni sul finale da qui in poi**

Dunque, con i Doni della Morte siamo al settimo anno di scuola e la situazione del mondo magico è piuttosto critica: Lord Voldemort diventa sempre più potente, fa strage di Babbani e di Nati Babbani, raccogliendo anche un esercito costituito da creature poco raccomandabili, come i licantropi.

Harry e i suoi amici ce la mettono tutta per sconfiggerlo, principalmente andando alla ricerca degli Horcrux, ma la morte di Silente ha lasciato più domande che risposte e le piste da seguire sembrano piuttosto confuse.

È inutile dirvi che la storia narrata dal libro per certi versi è molto diversa da quella del film, anche se alcuni episodi sono stati riportati quasi fedelmente. Il problema è che se si guardano solo i lungometraggi restano in sospeso tante domande, fino a rendere alcuni avvenimenti del tutto incomprensibili: come hanno fatto a trovare Harry e i suoi amici nel bosco? Perché Aberforth ce l’aveva tanto con il fratello? Da dove arriva la Pietra della Risurrezione nascosta nel boccino? Chi sarebbe questo R.A.B che ha sostituito il Medaglione di Serpeverde? Ecc.

Uno degli aspetti che mi sono piaciuti di più è la profondità del personaggio di Silente. Sì esatto, Silente, non Piton come ritengono in moltissimi.

Questo perché se fino ad ora abbiamo visto il classico vecchio saggio stile Mago Merlino, qui scopriamo un passato travagliato e delle debolezze umane che lo rendono molto più realistico e interessante. Ci rendiamo conto anche che dietro a quel sorriso serafico nascondeva dei lati oscuri, fino ad apparire un vero e proprio calcolatore nei ricordi di Piton.

E a proposito di quest’ultimo, ho letto spesso commenti che elogiavano la sua caratterizzazione per lo stesso discorso del Preside. Personalmente, ho avuto l’impressione che il cambio di personalità sul finale fosse una sorta di forzatura di trama, il tentativo di inserire un ulteriore colpo di scena e attribuire anche a lui una parte buona. Certo, capisco che il senso sia: la gente non nasce cattiva di suo, ma lo diventa, però Piton era proprio una persona sgradevole, che se la prendeva con chi era più debole come Neville, per sentirsi meglio con se stesso.

Di contro, l’evoluzione di altri è anch’essa degna di nota, come lo stesso Neville che si rivela sempre più coraggioso, andando a ripercorrere le orme incompiute dei genitori, oppure Percy che finalmente si sveglia dalla sua idiozia.

Comunque, anche se ormai i film li so a memoria, la lettura della saga non mi ha annoiata affatto e mi è proprio dispiaciuto finirla.

Inoltre, secondo me quest’ultimo volume è il migliore in assoluto: tralasciando il fatto che lo stile di scrittura mi piace perché scorrevole, penso che concluda degnamente una storia fantasy che ha fatto sognare grandi e piccini.

Prima di leggerlo avevo sentito da parte di molti criticare la fine di Lord Voldemort descritta nel libro in contrapposizione all’epicità del film; onestamente, mi è piaciuta di più la versione della Rowling, perché mi è sembrata più poetica e carica di significato. Il problema di questo mago malvagio, infatti, è sempre stata la sua arroganza, che l’ha spinto a sottovalutare i nemici scavandosi la fossa da solo. E difatti, ad ucciderlo è stata proprio la sua maledizione rimbalzata al mittente.

Forse sarà una di quelle rare volte in cui potrò decidere di riprendere in mano la saga in futuro, per fiondarmi di nuovo in questo mondo magico.

E per inciso, per me la storia finisce comunque qua, senza contare la Maledizione dell’Erede e l’orrido Animali Fantastici che sta deludendo così tanto al cinema, da mettere in dubbio il prosieguo delle riprese. Non che la cosa mi dispiaccia, sinceramente.

Voto 5/5.

“Non provare pietà per i morti, Harry. Prova pietà per i vivi e soprattutto per coloro che vivono senza amore.” Harry Potter e i Doni della Morte, J. K. Rowling

Harry Potter e il Principe Mezzosangue – J. K. Rowling

Finalmente, dopo mesi, ho proseguito con la lettura della saga fantasy più famosa del mondo, in linea con i buoni propositi di cui parlavo in un articolo precedente.

Questa volta, però, ho evitato di usare Audible e mi sono interamente fiondata sulla lettura, trovandola difatti molto più coinvolgente.

E niente, forse Audible non fa proprio per me: mi distraggo facilmente e dopo un po’ mi viene mal di testa.

Comunque, parto subito col dire che chi ha visto solo i film, praticamente si è perso fette importantissime della storia: in questo capitolo, come si suol dire, “i nodi vengono al pettine”, o perlomeno, ci provano.

La trama del lungometraggio è la seguente: Harry inizia il sesto anno e cerca di diventare il cocco di Lumacorno, con lo scopo di ottenere un ricordo fondamentale per sconfiggere Voldemort. Nel frattempo, Ron vince per miracolo una partita di Quidditch e pomicia con Lavanda, che fino a quel momento manco si sapeva chi fosse. Hermione se la prende con lui per questo. Ginny è un po’ una gatta morta. Per darle giusto un pizzico di carattere la fanno urlare prima di un allenamento per zittire la gente ed entrare nella stanza delle necessità insieme ad Harry, al fine di nascondere il libro di Pozioni.

Quando ho letto il libro sono rimasta basita dai cambiamenti, che in alcuni casi hanno proprio snaturato dei personaggi e fatto perdere il senso degli eventi.

Prima di tutto, si spiegano per filo e per segno le origini di Voldemort, perché ha scelto proprio quegli Horcrux e da dove deriva tutto questo odio per chi non è un purosangue.

Dall’altra parte, abbiamo anche la scoperta del nome del Principe Mezzosangue che sappiamo essere stato inventato da un giovane Piton, ma perché proprio queste parole? Anche se non si entra troppo nei dettagli, viene comunque fornita qualche informazione interessante.

Per quanto riguarda i personaggi, mi dispiace tantissimo che quello di Ginny abbia subito un taglio così netto e brutale. È una ragazza astuta, diretta e intelligente, ma nel film non si vede niente di tutto questo.

Chiaramente non è l’unica, ma è quella che mi ha colpito di più. Perché ci sarebbero anche Tonks e Lupin che nei film ricompaiono più avanti, ma qui abbiamo l’esordio della loro storia d’amore.

Ho anche notato che nei film hanno reso più comici alcuni episodi: per esempio, il funerale di Aragog con un Harry esaltato che imita il verso delle acromantule, oppure i goffi tentativi di seduzione di McLaggen ad una cena del Lumaclub, o ancora, lo sguardo da psicopatica di Lavanda dopo esser stata lasciata.

Devo ammettere, però, che il sesto libro mi è piaciuto più dell’Ordine della Fenice; difatti, non mi sono mai annoiata e la lettura scorreva veloce, facendomi ritrovare a sfogliare le pagine anche a notte fonda.

Nel precedente, invece, avevo come l’impressione che la Rowling stesse allungando il brodo inserendo una ripetizione infinita delle attività scolastiche di Harry e i suoi amici.

Consigliato? Ovviamente sì!

Voto 5/5.

Julia

“La grandezza ispira l’invidia, l’invidia genera rancore, il rancore produce menzogne.” Harry Potter e il Principe Mezzosangue, J. K. Rowling

Grandi Classici: Il Vecchio e il Mare

Non so quante volte mi è capitato di leggere nei gruppi di lettura la fatidica domanda “c’è un grande classico che non avete mai finito oppure non apprezzato?”, declinata in tutte le sue varianti.

Chiaramente le risposte sono varie: alcune prevedibili, poiché citano autori che notoriamente scrivono in maniera molto prolissa e “pesante”, altre invece sono voci fuori dal coro, lanciando una bomba ad orologeria come “A me non è piaciuto Il buio oltre la siepe!” (A proposito, proprio qui trovi la mia recensione).

Un titolo che ho trovato spesso e volentieri associato alla parola noia è Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway, considerato uno degli autori americani più apprezzati, la cui opera è entrata a far parte della top 100 libri di GreatestBooks (qui la lista completa).

Come poteva essere considerato noioso un romanzo che gode di una tale fama? Dovevo indagare, perciò, approfittando di uno sconto sul sito di Libraccio, l’ho acquistato insieme ad altri must have.

La trama è questa: ci troviamo a Cuba e Santiago è un pescatore molto anziano che non piglia pesci (letteralmente) da ben 84 giorni. Poiché il ragazzo che lo aiutava è stato costretto dai genitori a lavorare in un altro peschereccio, esce al largo da solo per tentare la sorte. Si sente ottimista e, difatti, trova un enorme pesce spada in mare aperto. Inizia così una dura lotta tra uomo e natura, che porterà Santiago a maturare la consapevolezza della propria e dell’altrui forza.

Stando alle mie ricerche, perché non ho assolutamente la pretesa di fare un’analisi del testo mia (non ne avrei nemmeno le competenze), ho capito che sostanzialmente esistono due chiavi di lettura.

La prima è più letterale ed è anche quella che rende il romanzo adatto ad un pubblico preadolescenziale. Abbiamo un vecchio pescatore che va al largo per l’ennesima volta sperando di tornare con un ricco bottino. Ciò che trova è un pesce spada che non ha intenzione di morire, perciò se lo porta a spasso come un cagnolino nei Caraibi.

In questo senso, la parte centrale del testo risulta piuttosto noiosa, con un ritmo ripetitivo e monotono, durante il quale Santiago inizia a dare i numeri, un po’ per la disidratazione, un po’ perché si sa che gli anziani amano parlare anche da soli.

Qui certamente è dove molti lettori hanno abbandonato. Ho letto persino un commento che insinuava una sorta di interesse perverso da parte del vecchio nei confronti del ragazzo, il quale non era potuto andare a pescare con lui.

Sull’altro fronte, abbiamo la volontà di ricercare un significato nascosto dietro ad una storia tanto semplice. Fra le varie interpretazioni c’è chi vede la rappresentazione della solitudine associata alla vecchiaia ed è una questione che trapela spesso nelle parole e pensieri di Santiago, che comincia ad apprezzare la compagnia del suo stesso avversario.

O ancora, la dura lotta del vecchio con il pesce è un elogio alla perseveranza: Santiago, nonostante la sua veneranda età, ha sempre i riflessi pronti, applica le conoscenze al meglio delle sue capacità e non si arrende mai di fronte alle situazioni infauste, anche quando è evidente che ormai ne uscirà sconfitto.

Inoltre, in questo romanzo la natura è coprotagonista e guadagna tutto il nostro rispetto: il pesce spada lotta per la sua vita con grande dignità, ma viene sopraffatto a causa delle macchinazioni ingannevoli dell’uomo. Nonostante ciò, sarà la natura stessa a ripristinare l’equilibrio, costringendo il pescatore a tornare a casa con il simbolo della sua sconfitta di fronte all’indomabile mare.

Delle interpretazioni molto interessanti che mi sono piaciute, poiché rendono ancora più poetiche le vicende del libro.

Per quanto mi riguarda, ciò che personalmente ho visto nella storia è l’ironia della vita: a volte ci si affanna tanto per ottenere qualcosa di grande, che ci consenta di guadagnare la stima degli altri, spinti in larga misura dal nostro orgoglio (anche se vogliamo far credere che sia per necessità), da perdere di vista la nostra natura impotente di fronte alla vita stessa; e difatti, proprio quando iniziamo a gongolare con il nostro bottino fra le mani, arrivano gli imprevisti che lo distruggono pezzo dopo pezzo. Cosa ci rimane? Sicuramente una maggiore saggezza di fronte a questa esperienza.

Voto 4/5.

Julia

“Nessuno dovrebbe mai restar solo, da vecchio, pensò. Ma è inevitabile.” Il vecchio e il mare, E. Hemingway

Harry potter e il divorzio definitivo tra il film e il libro

Siamo giunti al quarto capitolo – il Calice di Fuoco – della famosa saga di Harry Potter. Cosa bisogna aspettarsi dalla trama? Chiaramente, altro anno e altri modi per cercare di uccidere il protagonista. Questa volta, però, Vold…Colui-che-non-deve-essere-nominato ha nuovi seguaci pronti ad aiutarlo nell’impresa.

Vi risparmio il riassunto, perché dopo oltre 20 anni, numerose ristampe, messe in onda dei film ecc. presumo che conosciate a memoria le trame (come la sottoscritta del resto).

Ricordo ancora la mia reazione quando nel finale ho visto Lucius fra i Mangiamorte:

Per chi non avesse letto i libri, sappiate che dal quarto iniziano sostanziali differenze rispetto al lungometraggio. Capisco le esigenze di trasposizione, ma diciamo che leggendo la storia molti punti diventano molto più chiari. Ecco alcuni esempi:

-All’inizio del film si vede un anziano signore dirigersi verso una vecchia reggia, lamentandosi dei soliti giovani vandali. È chiaro che si tratta di un custode, ma nel libro viene spiegato bene chi sia fin dall’inizio: infatti, quando furono rinvenuti i corpi dei Riddle, fu l’unico sospettato. La dimora dove si trova Voldemort, perciò, è quella del suo padre babbano.

(LA VOSTRA REAZIONE)

-Il torneo Tre Maghi sembra che sia stato organizzato fra Hogwarts e due collegi, rispettivamente di soli ragazzi e ragazze, perché forse aggiungere altre comparse sarebbe costato troppo! E difatti, nel libro viene descritta una popolazione studentesca mista, sia fra i Beauxbatons (francesi) sia fra quelli di Durmstrang (bulgari). Non solo, la bellezza di Fleur trova una spiegazione plausibile: sua nonna è una Veela. E che sarebbe? Direte voi furbacchioni che avete preferito guardare solo i film. Anche questo è spiegato nello stesso volume: possiamo paragonarle a delle ninfee per la bellezza, ma se provocate possono diventare letali (oltre che spaventose). La loro comparsa risale alla Coppa del Mondo di Quiddich, in quanto cheerleaders della Bulgaria.

-La questione di Barty Crouch Jr. a me non è risultata chiara fin quando non ho letto il romanzo: prima di tutto si spiega come abbia fatto a fuggire da Azkaban. Inoltre, si comprendono meglio le ragioni dietro la follia del padre, distrutto dai sensi di colpa per aver contribuito a nascondere un pazzo omicida.

-C’è la questione degli elfi domestici, volutamente cancellati nel film perché i costi della cgi sarebbero stati eccessivi.

Come ci si fa ad affezionare abbastanza a Dobby senza leggersi tutta la saga? Vi ricordate che dal secondo volume è libero grazie ad Harry? Beh adesso lavora dietro compenso ad Hogwarts, ma non è ben visto dagli altri della sua specie che considerano disonorevole tale comportamento. Sarà lui stesso ad aiutare il protagonista a superare la seconda prova e non Neville, come si vede nel film.

Vogliamo parlare di Winky? L’elfa dei Crouch che viene licenziata perché usata come un capro espiatorio che si assuma delle colpe.

-Albus Silente: nel film sembra in preda a crisi isteriche, soprattutto dopo aver tirato fuori dal Calice di Fuoco il biglietto con scritto Harry Potter, mentre nel libro mantiene il suo consueto atteggiamento serafico:

“Harry, sei stato tu a mettere il biglietto?”

“No.”

“Ah okay, tutt’appost!”

Personalmente, nonostante conosca già i film, ho trovato la trama scorrevole e piacevole. Ormai non stiamo più parlando di un romanzo per bambini, ma di una storia più adatta ai ragazzi che comunque continua a stupire per i dettagli interessanti che ha da offrire.

Nel corso degli anni mi sono tenuta volutamente all’oscuro riguardo ad approfondimenti della saga, per mantenere alto l’interesse se mai avessi deciso di iniziare a leggerla. Sì, esatto, appartengo a quella categoria di persone che difficilmente rilegge i libri già letti.

Purtroppo questo espediente non sta funzionando con il quinto capitolo, perché lo sto trovando di una noia mortale. Ma ve ne parlerò meglio in un articolo dedicato.

Voto 4/5.

Julia

“Non è importante ciò che si è esattamente, ma ciò che si diventa” Harry Potter e il Calice di Fuoco, J. K. Rowling

Harry Potter e il cattivone di Azkaban

Non so quanto tempo fa ho iniziato a parlare del maghetto più famoso del mondo e ancora non ho concluso la saga. Sembra incredibile, ma sono ferma al quinto libro, che per altro ascolto a distanza di mesi o settimane attraverso Audible, con la voce di Pannofino. Il fatto è che non mi sta prendendo e ho come l’impressione che l’autrice abbia allungato fin troppo il brodo.

Ma oggi non vi parlo dell’Ordine della Fenice, bensì del Prigioniero di Azkaban, terzo volume della saga di Harry Potter di J.K. Rowling.

Leggi anche: “Harry Potter, ne avete mai sentito parlare?

Leggi anche: “Harry il ritorno!

La vecchia edizione che ho ancora, regalata da mia madre almeno 15 anni fa!

Dunque, Harry deve affrontare il terzo anno alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, ma una minaccia incombe su di lui: è fuggito da Azkaban il famigerato assassino Sirius Black che, tanto per cambiare, vuole ucciderlo. Insomma, si allunga la lista dei nemici mortali del piccolo mago, in un’atmosfera scolastica sempre più tetra, riportata quasi fedelmente nel film omonimo di Cuaron.

Quindi, ancora non molte soprese per me che ormai li conosco a memoria e li rivedo periodicamente. È anche vero che ci sono delle sostanziali differenze, una in particolare che molti fan hanno criticato, ovvero quella di omettere completamente la storia dei Malandrini, liquidandola in qualche frase finale.

Nel film molte informazioni sono date per scontate, vuoi per necessità nella narrazione o per scelte discutibili da parte dei produttori. Una volta letti i romanzi, come sempre, ogni tassello va al suo posto. Che ruolo ha, per esempio, il Platano Picchiatore all’interno della storia? Qua si conosce l’origine di questo albero bizzarro (che a dire il vero è un salice, ma va beh…) e perché sia stato posto nel cortile della scuola.

Si spiega meglio anche la bellissima storia di amicizia dei Malandrini, autori anche della celebre mappa che utilizza Harry nel corso del terzo libro, regalatagli dai gemelli Weasley.

Un’altra questione è quella che riguarda Grattastinchi, la gatta di Hermione, che nei film quasi non si vede, se non intenta a cacciare Crosta, ma nel romanzo ha un ruolo ben più consistente, perché è la prima a capire che in realtà il gramo che vedeva Harry era proprio Sirius Black, mentre il topo non era altro che Codaliscia. Proprio per questo si sono sprecate le teorie più stravaganti dei fan: il gatto, infatti, dimostra un’intelligenza fuori dal comune, per questo motivo alcuni hanno azzardato l’ipotesi che si tratti di un’animagus.

Nonostante, quindi, conoscessi già la trama, il libro ha saputo stuzzicare la mia curiosità, attraverso un’ottima caratterizzazione di personaggi e curiosità interessanti riguardo la saga.

Voto 4/5.

Julia

“La felicità si può trovare anche negli attimi più tenebrosi, se solo qualcuno si ricorda di accendere la luce.” Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban, J.K. Rowling

Kitchen – B. Yoshimoto

Una degli scrittori che ero curiosa di leggere era proprio la giapponese Banana Yoshimoto, che ormai è diventata celebre anche in Italia da svariati anni, ma solo di recente ho preso in mano un suo romanzo per addentrarmi nello stile.

Ed ecco Kitchen, che ho scoperto essere stata la sua prima pubblicazione, risalente ai primi anni Novanta. Per altro è un romanzo distribuito da Feltrinelli, nella sezione di giovani ragazzi (quando si dice “non ti sfugge niente, eh!”).

Insomma, la trama è composta da due racconti, uno dei quali occupa la quasi totalità delle pagine, narrando di Mikage, una ragazza che, dopo la morte della nonna rimane sola al mondo. L’unico posto che fa la sentire al sicuro è la cucina, non importa quale o come sia messa, ma è l’unico luogo capace di rassicurarla.

Nelle ultime quaranta pagine del libro abbiamo invece Plenilunio, una storia che la Yoshimoto ha inserito nella tesi e che ricalca una leggenda giapponese, senza discostarsi dal tema centrale dell’intero romanzo, ovvero il lutto.

Sì, perché, nonostante la copertina in stile cartoonesco, molto colorata e ricca di dettagli, la dicitura rassicurante “per ragazzi” e un titolo che ricorda molto i ricettari della zia Peppina, la trama sembra più una lunga poesia che cerca di affrontare dolcemente la perdita di chi amiamo, chiunque esso sia, dal genitore al partner.

Ed è forse proprio questa la ragione per la quale non sono riuscita a simpatizzare del tutto, o comunque non mi sono sentita particolarmente coinvolta. È come se per tutta la lettura mi sia ritrovata in un limbo, aspettando una svolta significativa da un momento all’altro, quel punto in cui la storia prende una piega interessante. Invece no. Mi è sembrato di vedere un cielo plumbeo, pieno di nuvole grigie, in attesa di una tempesta che non è mai arrivata.

Leggendo le recensioni di altri utenti, ho notato che tanti fanno riferimento al shojo manga cercando di descrivere lo stile della Yoshimoto, ovvero una categoria che si rivolge ad un pubblico prettamente femminile, esponendo solitamente (ma non in via esclusiva) delle tematiche fortemente sentimentali. Non essendo un’appassionata del genere, onestamente su questo punto non saprei cosa dire. Vero è che le descrizioni ambientali mi hanno ricordato molto gli anime strappalacrime che ho visto su Netflix, così come i dialoghi e i personaggi.

Detto ciò, torno a ribadire che non ho apprezzato l’esposizione della storia. Sembra più un romanzo non compiuto, una serie di appunti che mai vengono pienamente sviluppati, imprimendosi nella pagina come tetri ricordi. Ad un certo punto ho cominciato a spazientirmi per il ritmo monotono e non vedevo l’ora di finire. A parte la morte non accade davvero nient’altro di rilevante, per questo non comprendo nemmeno il titolo: la questione della cucina come luogo rassicurante non viene approfondita come mi sarei aspettata.

Eppure, c’erano altre questioni interessanti su cui poteva vertere l’attenzione, come Eriko e la sua transizione, oppure il carattere dello stesso Yuichi, che sembra più un fantasma dalla personalità evanescente. Per altro, la sua storia d’amore è una delle più brutte e nonsense che abbia mai letto.

Di contro, Plenilunio l’ho apprezzato di più, anche se non posso gridare al capolavoro.

Concludo dicendo che tanti si sono lamentati dei finali tronchi, che danno l’idea di una storia inconcludente, caratteristica tipica dello stile letterario giapponese. Francamente la cosa non mi disturba affatto: a parer mio, sono altri i problemi di questo romanzo.

Voto finale 2.5/5.

Julia

“Felicità è anche non accorgersi che in realtà si è soli.” Kitchen, B. Yoshimoto

Wonder – R. J. Palacio

Aggirandomi nella sezione dei libri per bambini e ragazzi, mi è capitato numerose volte di imbattermi in un titolo che non riusciva mai a catturare la mia attenzione al punto di prenderlo. Quando l’ho trovato anche a casa dei miei genitori, reperto archeologico rinvenuto durante gli scavi nei pressi della Camera dei Miei Fratelli, mi sono incuriosita soprattutto dopo aver letto la trama. Sto parlando di Wonder di R.J.Palacio.

Il protagonista del libro è il piccolo August “Auggie“, un bambino normale, ma che a causa di una rara malattia genetica che l’ha deformato e diversi interventi chirurgici facciali, si ritrova ad avere un viso fuori dal comune. Per 10 anni ha vissuto protetto dall’amore incondizionato della sua famiglia, studiando in casa, ma ora i genitori pensano che sia giunto il momento di integrarsi in una scuola, cominciando a frequentare dei coetanei. Per Auggie sarà una bella sfida: chi si siederà vicino a lui? chi lo guarderà davvero negli occhi? Riuscirà a farsi degli amici?

A detta della scrittrice, il romanzo nasce da un episodio personale che comunque viene inserito in qualche modo all’interno del romanzo, seppur cambiando protagonisti. Un giorno era seduta su una panchina con i suoi due figli e vide passare una bambina che aveva evidentemente la sindrome di Treacher-Collins, una rara malattia ereditaria che colpisce i tratti facciali, lasciando inalterato tutto il resto. La scrittrice racconta che, presa dal panico, si alzò di scatto e si allontanò di corsa con i figli, più che altro per evitare commenti a sproposito dal parte del più piccolo. Ma nel momento in cui si stava avviando, alle sue spalle sentì la voce della madre della bambina dire dolcemente che era ora di andare a casa. Insomma quella di August è una storia verosimile che nasce con l’intento, probabilmente, di sensibilizzare altre persone, soprattutto i ragazzi, per fargli comprendere che le apparenze non sono tutto. Dietro una facciata che può essere piacevole o meno, può nascondersi un mondo e una personalità più o meno profonda. Ciò che ho amato, oltre alla scrittura scorrevole, è il fatto che ha raccontato il mondo di Auggie anche attraverso altri punti di vista. Voto personale 5/5.

ATTENZIONE: SPOILER IN QUESTO PARAGRAFO!!! Non mi dilungo troppo perché non penso ci sia molto da dire in un libro che parla da sé e vale davvero la pena leggere. Ho molto apprezzato scoprire in maniera profonda anche i pensieri degli altri personaggi, una tecnica che ha “normalizzato” Auggie stesso, dal momento che scopriamo che nel mondo reale, chiunque purtroppo affronta situazioni difficili nella propria vita, più o meno gravi: Julian è ricco materialmente, ma povero di animo e con due genitori a dir poco ignoranti, Jack vive in un quartiere malfamato ed è molto povero, Miranda sta affrontando il divorzio dei genitori ed è costretta a vedere la madre che si lascia andare con l’alcool, Justin è vissuto come un peso in casa sua…insomma la lista è infinita. In tutto questo Auggie diventa un esempio di coraggio e forza d’animo, un bambino straordinariamente intelligente capace di affrontare situazioni difficili prendendole di petto e senza farsi sopraffare. E lui stesso alla fine si rende conto che tutti a proprio modo sono speciali e tutti meritano una standing ovation per come affrontano le difficoltà della vita.

Dallo stesso libro è stato tratto il film omonimo di Stephen Chbosky, non fedelissimo alla trama, ma comunque apprezzabile, con Owen Wilson (super adatto nel ruolo del padre giocherellone) e Julia Roberts nei panni della madre.

Vi ringrazio per aver letto l’articolo, vi auguro una buona lettura e visione di Wonder 🙂

“Via non mi considera normale. lei dice di sì, ma se non fossi normale non avrebbe tutto questo bisogno di proteggermi. Nemmeno mamma e papà mi considerano normale. Credo che l’unica persona al mondo che capisce quanto sono normale sono io.” Wonder, R.J.Palacio

L’universo di Margherita – M. Hack

Per questo mese, per quanto riguarda la lettura dedicata ai fanciulli, vorrei proporre un libro che ho letto in seconda media e che mi ha appassionata moltissimo. Sto parlando della biografia di Margherita Hack, la più nota astrofisica italiana scomparsa nel 2013, raccontata da lei stessa con spontaneità nel libro L’Universo di Margherita.

Devo dire, sinceramente, che di solito le biografie non mi entusiasmano e ho sempre evitato di leggerle, ma questa ha catturato la mia attenzione dalla prima all’ultima pagina. Margherita racconta la propria vita fin dalla nascita, le scelte che l’hanno portata ad intraprendere la strada dell’astrofisica, l’amore per suo marito, il tutto con tanta naturalezza che sembra di ascoltare le storie della propria nonna. Nel libro sono presenti anche immagini sia reali, sia rappresentative ed è una lettura adatta a bambini di almeno 9 anni. Alla fine troverete anche degli approfondimenti, giusto per dare un’infarinatura molto semplice e generica sul vasto mondo della scienza legata al cosmo.

Consiglio vivamente la lettura, anche alla luce del fatto che proprio ieri è emerso dalle maggiori testate giornalistiche, che l’Event Horizon Telescope (EHT) è riuscito ad elaborare la prima immagine di un buco nero, confermando ancora una volta la teoria della relatività di Einstein. Per maggiori informazioni e dettagli vi lascio il link che riporta all’articolo:

http://www.lescienze.it/news/2019/04/11/news/la_prima_foto_di_un_buco_nero-4366345/

Insomma, una lettura da non perdere anche per i più grandi! 😉

Grazie per aver letto, vi auguro una buona lettura!

“Certo non sono una che rimpiange il passato, o che si lamenta dei giovani di oggi con un’espressione di disappunto sul viso!” L’Universo di Margherita, Cerrato S. e Hack M.