The Help – K. Stockett

Nel 1960 veniva pubblicato Il buio oltre la siepe di Harper Lee, un romanzo che è diventato un caso letterario perché denunciava apertamente l’ipocrisia della società di quel tempo, dove razzismo, pregiudizi e tanta ignoranza la facevano da padrone.

Ciò che più colpiva della storia era il fatto che queste vicende venissero raccontate attraverso gli occhi di una bambina, più precisamente la figlia dell’avvocato che avrebbe dovuto difendere un ragazzo nero, accusato ingiustamente di aver stuprato una giovane donna.

Dopo oltre 60 anni, nonostante viviamo in un’epoca in cui è impensabile l’esistenza di posti separati per bianchi e neri, si torna ancora a parlare dell’argomento, ma perché?

Sostanzialmente, perché le leggi cambiano, le società si evolvono, ma l’ignoranza delle persone è proprio dura a morire. Certo, non possiamo dire che ci siano gli stessi problemi degli anni Sessanta – grazie a Dio, aggiungerei – eppure, molti neri ancora non si sentono del tutto accettati, integrati, presi in considerazione senza pregiudizi ecc. (vd. Addio, a domani di S. Efionayi).

In alcuni casi questo malcontento è stato esasperato a tal punto da fondare movimenti attivisti, come il celebre Black Lives Matter, nato nel 2013 per protestare contro gli abusi della polizia e del sistema giudiziario americano.

Il romanzo The Help di Kathryn Stockett, però, benché abbia come protagoniste delle domestiche nere che passano la vita a servire famiglie bianche altolocate, non penso proprio che sia nato per rientrare all’interno di questi movimenti di protesta e le ragioni che mi spingono a crederlo sono diverse.

Dunque, prima di tutto la storia è ambientata nel Mississippi degli anni Sessanta, in un contesto che per quanto consideri selvaggio e tutt’altro che civile, ad oggi è comunque superato; pertanto, non si può dire che stia descrivendo una realtà ancora presente in quelle zone d’America, facendo una denuncia sociale.

Accennando brevemente alla trama, le protagoniste sono tre:

  • Eugenia “Skeeter” Phelan, una giovane bianca che torna a casa dall’università con lo scopo di diventare scrittrice, contro il desiderio della madre di vederla accasata con un buon partito;
  • La materna Aibileen che lavora come domestica presso una famiglia bianca borghese;
  • La sfacciata, nonché cuoca eccellente Minny, sua migliore amica.

Per quanto diversissime, le tre donne trovano il coraggio di lavorare insieme ad un progetto che va contro le leggi razziali del tempo, per raccontare al mondo cosa significa davvero essere neri a Jackson.

Il romanzo, che ho apprezzato tantissimo, è una lettura piacevole, che scorre bene, senza privarsi di colpi di scena. Ci si affeziona facilmente ai protagonisti e quando si chiude l’ultima pagina, si vorrebbe saperne ancora di loro.

Tornando al discorso di prima, l’autrice nelle note finali dichiara di aver tratto ispirazione dal bel rapporto che aveva avuto da bambina con la sua domestica Demetrie; nessuno, però, aveva mai chiesto a questa donna, cosa volesse dire servire i bianchi.

In sostanza, più che una protesta sociale, mi è sembrato un omaggio ad una persona cara che aveva perso troppo presto; fra l’altro non credo che la pubblicazione avvenuta nel 2009 sia un caso, ovvero proprio quando saliva in carica negli USA il presidente B. Obama, il primo nero nella storia americana.

Oltretutto, sembra un paradosso che nel libro si cerca di raccontare la storia dal punto di vista dei neri, mentre il romanzo stesso viene scritto da una donna bianca, per giunta da una di quei bambini che sono stati cresciuti da loro. Difatti, tanti americani hanno criticato la sua visione di Jackson, considerata fin troppo stereotipata e semplicistica.

Qual è la conclusione? Che non mi è piaciuto?

Al contrario, ho amato sia il romanzo, sia la trasposizione cinematografica, che considero una delle mie preferite, tanto da volerla riguardare spesso. La considero comunque una storia commovente, dove donne completamente diverse riescono a superare le differenze e ad instaurare profondi legami di amicizia, condividendo al contempo il coraggio di lottare contro una società ingiusta.

Mi dispiace, però, che il contesto storico non sia stato inserito come avrei voluto: ci sono poche informazioni al riguardo, a volte approssimative e buttate lì tanto per ricordarci che ci troviamo negli anni Sessanta.

Ad ogni modo, il mio voto resta alto: 4/5.

Ps. Piccola curiosità per chi ha visto il film: osservando fra le donne che fanno parte della Lega, si può intravedere anche il volto dell’autrice K. Stockett.

Addio, a domani – S. Efionayi

Diversi mesi fa mi ricordo che era stato pubblicato un post di recensione su un gruppo di lettori, dove si parlava del grande classico Il buio oltre la siepe di H. Lee, considerato da tutti uno dei pilastri fondamentali per quanto riguarda la denuncia al razzismo.

È anche vero che il racconto dell’autrice risale agli anni Cinquanta e Sessanta, un bel po’ di decenni fa: di conseguenza alcune persone hanno anche smesso di prenderlo in considerazione, come un utente che proprio sotto a quel post aveva commentato dicendo che ormai si trattava di un testo superato, appartenente ad un periodo storico troppo lontano per potersi immedesimare.

Il problema è che il razzismo ha solo mutato forma, ma rimane sempre presente, come un tarlo che consuma tutti gli strati sociali di una qualsiasi società che vuole considerarsi civile.

La testimonianza di Sabrina Efionayi non ha scuse per passare inosservata: lei è una ragazza con una storia struggente, cresciuta in mezzo a più mondi, senza mai riuscire ad indentificarsi pienamente in nessuno di questi. Da una parte c’è quello della famiglia biologica, con una mamma nigeriana costretta a prostituirsi, mentre il padre compaesano ha persino rifiutato di riconoscerla (il cognome le è stato dato da un caro amico).

Dall’altra abbiamo una famiglia napoletana che prende a cuore la situazione, a tal punto da acconsentire a crescere quella bambina come se fosse una figlia.

Sabrina non perde legami con nessuno e col tempo cerca la sua identità indagando ovunque, ma senza riuscire mai ad inserirsi: fra gli italiani è troppo scura come aspetto, fra gli africani è troppo bianca nel comportamento.

Ciò che ho letto nella sua biografia Addio, a domani è un costante tentativo di assecondare le aspettative altrui, chiudendo sé stessa in un’ostinata discrezione. Quando parla dice alle persone ciò che vogliono sentirsi dire, frasi studiate per non offendere la mamma biologica che la vorrebbe più in linea con il carattere estroverso africano o per non alimentare la paura di perderla da parte della madre adottiva Antonietta.

Ma Sabrina ha tanto da dare. È una ragazza molto intelligente e la sua capacità di scrittura la si evince già da queste poche pagine, dove cerca di raccontare la sua storia e quella della madre Gladys dall’esterno, per poi terminare con una considerazione riguardo al razzismo di oggi.

Ora, pensi che Il buio oltre la siepe sia ormai superato perché al giorno d’oggi non si fanno più processi a persone solo per il colore della pelle?

Beh, allora leggi la testimonianza di questa ragazza e poi ne riparliamo.

Voto 5/5!

“Get up, Gladys. You’re a woman. You’re a black woman in a country where we are nothing. In a country like this, in a world like this, you have to be a woman twice. All you have to do as a woman, all the pain and all the love, you have to fight for it, twice. Cause you’re a black woman.” Addio, a domani di S. Efionayi

Grandi classici: Il Buio Oltre la Siepe

Per quanto ami leggere da una vita, mi sono resa conto che sono molto carente per quanto riguarda i grandi classici della letteratura, quelli che hanno fatto un successo strepitoso che perdura nel tempo. Molti di questi autori sono studiati anche nelle scuole italiane, ma devo ammettere che finché ero una studentessa, non ero in grado di apprezzarne la qualità. Forse, essendo alcuni titoli imposti, li trovavo noiosi a prescindere.

Ad ogni modo, Il Buio Oltre la Siepe di Harper Lee è un recente acquisto, spinta dalla curiosità, dato che per anni l’ho ignorato ingiustamente insieme ad altri autori. Per chi non lo conoscesse, la storia è ambientata a Maycomb, una cittadina del Sud degli Stati Uniti, dove vivono la piccola Scout, suo fratello Jem e suo padre Atticus insieme alla domestica Calpurnia. Atticus è un avvocato onesto che viene incaricato della difesa d’ufficio di un afroamericano accusato di violenza carnale. La vicenda, che costituisce la parte più celebre del romanzo, viene raccontata dal punto di vista della figlia.

Che dire? Vi aspetterete che ora inizi a tessere le lodi di questo libro. E invece, no! Mi spiego: quando ho iniziato questa lettura ero carica di aspettative, perché per quanto non l’avessi mai preso in considerazione, è cosa risaputa che abbia riscosso uno strepitoso successo fin dal premio Pulitzer del 1960, dato che tocca temi importanti e sempre attuali come il razzismo, l’ingiustizia, l’ignoranza,..). Sinceramente sono rimasta parecchio delusa, e vi spiego il motivo. Per gran parte del romanzo viviamo le esperienze dei figli di Atticus, attraverso noiosissimi intrecci che non portano da nessuna parte. Ogni volta che l’autrice si apprestava a raccontare un altro episodio della loro vita, mi chiedevo dove volesse andare a parare. Invece non succede nulla fino a quando non si arriva a 2/3 della storia. Fino ad allora dovrete sorbirvi dettagli minuziosi su come passavano le giornate Scout e Jem, fra scuola, giochi, dispetti, dialoghi con vicini di casa…e per inciso, quella bambina l’ho trovata semplicemente maleducata e antipatica. La nota accattivante iniziale è data solo dal mistero della casa dei Radley, nella quale si dice viva nascosto il sig. Arthur/Boo ormai da molti anni. Il processo al giovane afroamericano che ha reso celebre il libro, diventa così un avvenimento marginale rispetto a tutto il resto. Fra l’altro trattato sempre concentrando l’attenzione su Scout invece che sulla vicenda in sé. Quindi si ha come l’impressione che avvenga tutto troppo in fretta per riuscire a realizzarlo. Una scelta stilistica che ho trovato ingiusta: in fin dei conti la prima parte del romanzo poteva essere riassunta in pochi capitoli, a favore di argomenti ben più importanti. Mi sarebbe piaciuto un approfondimento sulla vita degli afroamericani in quel contesto, per esempio, magari concentrandosi su Tom e la sua famiglia. Che fine hanno fatto poi i numerosi Ewell?

La cosa incomprensibile, per altro, è il riassunto in quarta pagina che parla solo della difesa di Atticus nei confronti di Tom Robinson, spoilerando che muore nonostante sia innocente. Okay, il libro è famoso per questo, ma è solo una minima parte rispetto al logorroico contorno costruito dalla Lee. Per me è stato come dover apprezzare un quadro piccolissimo, ma significativo ed emozionante all’interno di una cornice imponente scialba e insignificante…Voto 2.5/5.

Grazie per la lettura 🙂

Julia Volta

“C’è qualcosa nel nostro mondo che fa perdere la testa alla gente: non riescono ad essere giusti neanche quando lo vogliono.” Il Buio Oltre la Siepe, H. Lee