Agatha Raisin La giardiniera invasata – M. C. Beaton

Dopo un paio di letture che toccavano temi importanti, ho deciso di staccare un po’ buttandomi nel terzo volume della saga divertente di Agatha Raisin, la Miss Marple de’ noantri, ovvero La giardiniera invasata, scritta da M. C. Beaton.

Come per i precedenti, ogni caso inizia e finisce in un unico libro, ma per seguire le vicende della vita personale di Agatha, bisognerebbe procedere con ordine.

I primi due volumi infatti si intitolano La quiche letale e Il veterinario crudele, che ho già recensito.

La storia questa volta si apre con il ritorno di Agatha da una lunga vacanza solitaria, trascorsa in luoghi che mi hanno suscitato tanta invidia, ma che nel suo caso l’hanno fatta sentire sola e triste. Tornata a Carsely, infatti, non vede l’ora di rivedere i volti amichevoli dei suoi abitanti, compresa l’amica signora Bloxby e l’affascinante vicino di casa James.

Salvo poi scoprire con orrore che quest’ultimo ha iniziato a frequentare un nuovo acquisto del villaggio, Mary Fortune, una donna bellissima, alta, bionda, magra ed esperta nel giardinaggio. In poche parole, tutto ciò che Agatha non è e vorrebbe essere.

Ovviamente farà di tutto per tenere sotto osservazione quella relazione, compreso iscriversi alla società orticola locale, pur non avendo mai piantato un seme. Ma non passa molto tempo che iniziano a succedere cose strane: i giardini più belli vengono vandalizzati e i pesciolini dello stagno di Bernard Scott vengono persino avvelenati.

Un altro mistero su cui indagare nel terzo luogo con il più alto tasso di criminalità al mondo, subito dopo Stockport e Cabot Cove!

Per quanto riguarda la trama, a parer mio è riuscita meglio rispetto al volume precedente, anche se comunque stiamo sempre parlando di uno sviluppo scontato dalle dinamiche surreali; intuire chi sia il colpevole, infatti, non è poi così difficile, persino per una come me che generalmente non legge tanti gialli e thriller.

Ciò che mi attira di questa saga è la protagonista, che trovo divertente nel suo essere così impacciata: mi sembra più reale, autentica e non costruita ad hoc come i personaggi di altri libri. Fra l’altro come modi di fare ricorda molto una mia vecchia amica e forse è per questo che mi suscita dell’affetto.

Di contro, sto cominciando a non sopportare altri elementi della storia, ovvero:

  • Lo stoccafisso James, davvero antipatico se si considera che tratta Agatha a pesci in faccia solo perché non risponde ai suoi canoni di donna ideale. Non appena sospetta che lei nutre per lui dell’interesse amoroso, scappa senza dare spiegazioni, come un ragazzino delle scuole medie.
  • Il poliziotto Bill Wong che onestamente non mi sembra questa cima di intelligenza. Oltretutto, hai di fronte una donna che ha già risolto due casi di omicidio (quando la stessa polizia non sapeva che pesci pigliare) e, invece di assumerla, ti mostri arrabbiato perché ficca il naso dove non dovrebbe.

Per concludere, una nota di merito va alla traduzione del titolo, per il simpatico gioco di parole.

Voto 4/5.

PS: Grazie a questo volume mi sono ricordata che dovrei prendermi più cura del mio giardino, anche se mi sento più affine al modus operandi di Agatha, piuttosto che a quello di James.

Agatha Raisin La quiche letale – M. C. Beaton

Quest’estate, prima di partire per le vacanze, mi sono piazzata davanti alla mia libreria per capire quale storia mi sarei potuta portare dietro, ovviamente lontana dallo sguardo indiscreto di Guerra e Pace che ancora aspetta di essere finito.

Dunque, per me la libreria funziona un po’ come l’armadio dei vestiti: ho tanta roba, ma non so mai quale tirare fuori.

Le caratteristiche che cercavo erano le seguenti:

  • Qualcosa di leggero, poco impegnativo;
  • Un po’ di humor che non guasta;
  • Copertina interessante.

La scelta è ricaduta su Agatha Raisin La quiche letale di M. C. Beaton, che persino dal titolo fa presagire il tipo di storia che andreste a trovare.

Già tempo fa mi ero scontrata con lo humor inglese grazie a La Sovrana Lettrice di Bennet che, a dispetto delle recensioni, avevo trovato tutt’altro che divertente.

Eppure, questa volta mi sono dovuta ricredere!

Insomma, la protagonista è Agatha, una cinquantenne londinese che ha avuto una carriera brillante come PR, ma ora ha deciso di vendere tutto per trasferirsi nella campagna dei Cotsworlds.

Avete presente quelle casettine carine che si vedono nelle cartoline o nei film tipo L’amore non va in vacanza? Quelle costruite in pietra con giardino fiorito, caminetto perennemente acceso e vicini di casa che ti sorridono sempre.

Ecco, anche Agatha si era illusa di una situazione del genere, salvo poi scoprire che i vicini sono fintamente cortesi e che il suo giardino fa pena perché non viene curato.

Lei non si arrende e pur di entrare nelle grazie dei 4 gatti che vivono in zona, decide di vincere (partecipare non basta) una gara di quiche, nonostante non abbia mai cucinato un uovo al tegamino.

Come se non bastasse, uno dei giudici ci resta secco dopo aver mangiato proprio il suo piatto!

Ovviamente i primi sospetti ricadono su di lei e la sua principale preoccupazione è quella di dover rivelare che la quiche in realtà non l’ha cucinata lei, ma era andata a comprarla in città.

Iniziano così le sue indagini per scoprire chi abbia davvero ucciso il giudice della competizione, attraverso una serie di malintesi e l’incontro con casi umani.

Anche se i colpi di scena non sono poi così tanti, questo libro si fa leggere con piacere perché è davvero divertente.

Agatha è molto lontana dai detective che siamo abituati a conoscere, con la loro eleganza ed incredibile arguzia nello sgusciare fra una prova e l’altra senza alzare un polverone.

Lei no: è scontrosa, diretta, non le manda a dire, se la prende con il mondo intero e ovunque vada combina guai.

Io l’ho trovata semplicemente fantastica e più volte mi ha strappato una risata.

Una lettura consigliata per chi sta cercando un romanzo leggero, divertente e che contenga un pizzico di mistero in stile signora Fletcher.

Fra l’altro, ho scoperto che è il primo di una lunghissima serie che conta una trentina di libri e non sono neanche gli unici scritti dall’autrice.

Difatti, la signora Marion Chesney (1936 – 2019) ha pubblicato decine e decine di libri, alcuni utilizzando il suo vero nome, altri dietro numerosi pseudonimi, come M. C. Beaton, Ann Fairfax, Jennie TremaineHelen CramptonCharlotte Ward, e Sarah Chester.

Una mente a dir poco geniale!

Voto 5/5.

Julia

La ragazza interrotta – S. Kaysen

Per molte persone il nome Susanna Kaysen potrebbe non dire nulla, ma a sentir La ragazza interrotta salterebbe subito alla mente il film dal titolo molto simile del 1999, diretto da James Mangold.

E difatti, il lungometraggio Ragazze interrotte trae proprio ispirazione da questo diario autobiografico, dove l’autrice racconta la sua esperienza in manicomio, vissuta alla fine degli anni Sessanta.

Questo libro ha fatto parte della mia wishlist per diversi mesi, prima di decidermi a comprarlo e leggerlo. Nel frattempo avrò visto il film almeno un paio di volte: una storia toccante che lascia il segno, soprattutto per chi da quell’incubo non è più uscito.

Quando ho iniziato a leggere il diario ero sicuramente carica di aspettative: mi aspettavo un racconto lineare, dove forse si entrava più nei dettagli nelle storie che riguardavano le altre pazienti. Mi sarebbe piaciuto sapere anche che fine avessero fatto tutte.

Ad essere sincera, sono rimasta un po’ delusa in generale, perché l’ho trovato confusionario nella narrazione. In aggiunta, mi sono resa conto che per il film si è dato ampio spazio all’interpretazione, cercando di mettere in successione eventi raccontati a random.

Infatti il libro è così strutturato: una serie di brevi episodi raccontati in prima persona, intervallati da fotocopie di referti medici originali che riguardano Susanna stessa. Non ci sono date ad inizio capitolo, perciò non si riesce a collocare gli eventi all’interno di una linea temporale. L’ordine di presentazione non c’entra nulla, anche perché prima si parla della morte di un personaggio, il quale ricompare alcuni capitoli dopo.

Nella parte finale ci sono una serie di considerazioni dell’autrice riguardo alla sua patologia, da dove ha tratto il titolo del libro e giusto un paio di episodi per raccontare che fine abbiano fatto Lisa e Georgina.

Insomma, mi sarei aspettata un po’ più cura da questo punto di vista.

Ricordo che anche Alda Merini ne L’Altra Verità, oppure Chamed in Mi si è fermato il cuore, comunque hanno cercato di dare un ordine agli eventi, una sorta di orientamento per il lettore, seppur con stili completamente differenti.

Invece, la mia impressione è che Kaysen abbia voluto trascrivere un diario per sé stessa, una sorta di sfogo personale terapeutico per staccarsi definitivamente da quella esperienza in ospedale psichiatrico.

La sua narrazione rimane comunque lucida nella descrizione di atteggiamenti bizzarri che la caratterizzano, anche se a tratti sembra che lei stessa voglia negare di avere dei disturbi psichiatrici; invero, mostra delle perplessità riguardo al trattamento a lei riservato o all’interpretazione dei suoi comportamenti, così come alle condizioni che determinano la diagnosi stessa.

Celebre infatti è la sua osservazione riguardo alla promiscuità femminile, messa a confronto con quella maschile: un giudizio che spinge a riflettere, peraltro riportato anche nel film.

Insomma, lo consiglio? Sì, ma più che altro per le interessanti riflessioni riguardo agli stessi disturbi.

Ps: nel film ci sono aspetti diversissimi rispetto al libro, primo fra tutti le sembianze dei personaggi. L’infermiera Valerie nella realtà era bionda con carnagione chiara, mentre Lisa mora. Inoltre, alcuni episodi sembrano inventati di sana pianta, come la fuga di Susanna e Lisa, che raggiungono la casa di Daisy oppure la diagnosi di altre pazienti.

I matti sono un po’ come i calciatori scelti per battere il rigore. Spesso è pazza l’intera famiglia, ma poiché non può entrare tutta in ospedale, si sceglie una sola persona come pazza e la si interna. Poi, a seconda di come si sentono gli altri componenti, la si tiene dentro o la si risbatte fuori, per dimostrare qualcosa sulla salute mentale della famiglia stessa.La Ragazza Interrotta, S. Kaysen